Test sierologici per trovare gli ‘immuni’, il piano per far ripartire il Paese

Nurse holding test tube with blood for 2019-nCoV analyzing. Novel Chinese Coronavirus blood test concept

Potrebbe essere la nuova frontiera della lotta al Coronavirus e il piano per far ripartire il Paese nella ‘fase 2’ annunciata nella conferenza stampa di mercoledì del premier Giuseppe Conte. La speranza per fronteggiare l’epidemia di Covid-19 sono i test sierologici, già avviati da pochi giorni in Veneto. Si tratta di un ‘semplice’ esame del sangue utile a rilevare, tramite alcuni parametri da esaminare, se il virus ha lasciato “traccia” nel corpo della persona sottoposta a prelievo e che pertanto potrebbe aver sviluppato l’immunità al nuovo Coronavirus.

Un piano che ha già ricevuto il parere positivo del Comitato tecnico-scientifico della Protezione civile per una mappatura della popolazione e per individuare la fasce che hanno sviluppato la cosiddetta “immunità di gregge”. Una grossa quantità di test sierologici premetterebbe inoltre di iniziare a lavorare sulle riaperture, perché chi risulterà immune al virus potrà teoricamente tornare a lavoro. Attualmente test simili sono stati effettuati soprattutto in Veneto, ma con numeri minori anche in Lombardia, Toscana ed Emilia-Romagna, alcune delle regioni più colpite dall’epidemia di Covid-19.

Il test sierologico, va sottolineato, non è paragonabile al tampone che accerta la positività al Covid-19. Mentre il secondo dice se in un determinato momento la malattia è in corso, il primo attesta e certifica l’eventuale immunità al virus, con effetto retroattivo. Gli stess test seriologici possono dividersi in più tipi, tra quelli eseguibili con una semplice goccia di sangue, che offrono risultati in 15 minuti, a quelli che comportano un esame del sangue vero e proprio.

Ma c’è chi mette in guardia dalla possibilità di utilizzare questi test come lasciapassare per far tornare a lavoro le persone. Spiega infatti Roberto Rigoli, vicepresidente dell’Associazione dei microbiologi clinici italiani, al Corriere: “Di test fast ce ne sono una miriade, tra cui la maggior parte sono porcherie. Il loro rischio è di risultati falsi negativi: ci dicono, cioè, che una persona non ha ancora sviluppato gli anticorpi al virus, mentre può essere al suo massimo di contagiosità. L’abbiamo verificando facendo l’esame su pazienti positivi ricoverati in ospedale. Dopodiché abbiamo trovato anche un paio di test rapidi validi su cui stiamo lavorando”.