Tutti in piedi, ieri alla Camera, per onorare la scomparsa di Arnaldo Forlani. Il grande leader democristiano, scomparso il 6 luglio scorso, viene ricordato dal Presidente della Camera, Lorenzo Fontana, in piedi. “Un uomo di pace che ha servito le istituzioni”. Scroscio di applausi. Quella di Forlani è una scomparsa che permette allo scudo crociato, cui ha dedicato la vita, di ricomparire. Sia pure solo per fare capolino: ma è già un buon segno che quel ricordo riaffiori con il sorriso.
Forse anche con una punta di nostalgia, disvelata dall’applauso che tutta l’aula della Camera rivolge ad uno degli ultimi grandi segretari della Dc di Piazza del Gesù. Il suo ricordo arriva alla vigilia di questo 26 luglio che è nella storia della Democrazia Cristiana l’epigrafe finale su quel ceppo funebre che al tempo, nell’infuocata estate del 1993, i suoi dirigenti posero pensando fosse una pietra miliare. Un blocco di marmo che in quei giorni, all’Eur, doveva servire a segnare il nuovo inizio, la fase due della Dc. E invece ne segnò, appunto, l’ultimo giorno.
Cosa successe? Che il più grande partito dell’intera prima repubblica, che da De Gasperi e da quel 18 aprile 1948 del primo Parlamento aveva accompagnato, spronato e guidato con continuità tutta la fase politica dal dopoguerra a Tangentopoli, finì sotto le macerie di quel terremoto giudiziario. I tanti processi aperti – quelli a Forlani per Mani pulite, quelli ad Andreotti per associazione a delinquere e associazione mafiosa – avevano messo in ginocchio lo Scudo crociato. Il capo ufficio stampa di Arnaldo Forlani, il giornalista Enzo Carra, venne condotto davanti alle telecamere tirandolo per i polsi incatenati. Fu l’esposizione al pubblico ludibrio del trofeo di caccia del pool di Mani Pulite.
Un gesto ancora oggi doloroso, nel ricordo di chi l’ha vissuto: l’umiliazione della politica ad opera dei magistrati che poi provarono ad ottenere – come ammise il capo del pool, Francesco Saverio Borrelli, “Pronto, se le istituzioni chiameranno” – a prenderne le redini. E così la caccia alla Balena bianca, come si definiva la Dc, prese corpo. Le elezioni del 1992 la videro per la prima volta scendere sotto la soglia del 30% (29,7%).
Dopo l’insuccesso delle elezioni provinciali del 1992, il segretario Forlani si dimise e il 12 ottobre il Consiglio Nazionale elesse per acclamazione il bresciano Mino Martinazzoli nuovo segretario. Quindici giorni dopo Rosa Russo Iervolino divenne Presidente del Consiglio Nazionale andando a sostituire un altro nume tutelare del partito, Ciriaco De Mita. Proseguirono a colpi di indagine giudiziaria le dimissioni e le sostituzioni dei dirigenti, con una serie di abbandoni che riguardarono, a un certo punto, anche Mario Segni, scettico sulla possibilità di rilanciare il partito.
Martinazzoli si convinse di dover reinventare il centro. Ipotizzò nel giugno ’93 di rifondare la Dc, chiamandola Centro Popolare. Una idea non ancora matura: i maggiorenti democristiani provarono a frenare. Martinazzoli presentò le dimissioni, che però vennero respinte. Venne convocata una Assemblea nazionale costituente per mettere in discussione l’iter rifondativo. L’ incontro si tenne a Roma, all’Eur, tra il 23 e il 26 luglio. Fu proprio trenta anni fa che concludendo quei lavori Mino Martinazzoli fece approvare l’idea di aprire la “terza fase storica della tradizione cattolico-democratica” con un partito nazionale di programma, fondato sul valore cristiano della solidarietà da chiamare Partito Popolare.
La maggioranza approvò, la Dc si sciolse in un applauso, sovrastato dal grido un po’ teatrale di De Mita: “Che Dio ti aiuti, Mino”. Erano le dieci del mattino del 26 luglio 1993 e la Democrazia cristiana era stata sciolta, davanti a cinquecento delegati. Una storia lunga 50 anni e 129 giorni, secondo il calcolo dello storico Gabriele De Rosa.
Il Partito Popolare Italiano (che riprese il nome da quello primigenio, voluto da Don Luigi Sturzo), prima con Martinazzoli, poi con Castagnetti, raccolse solo un frammento dell’elettorato democristiano. Fu allora che Berlusconi iniziò a lavorare al suo progetto, Forza Italia, tentando – invano – di incaricarne il Dc Mario Segni. Il Ppi confluirà poi nella Margherita di Francesco Rutelli, che nel 2007 diventerà con i Ds uno dei due soggetti cofondatori del Pd. Tante deviazioni, dopo una lunga strada maestra. L’eredità di quella grande storia lascia ancora oggi un vuoto al centro – ancor più dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi – che la politica deve riuscire a colmare.
