Come certe partite di Massimiliano Allegri: guardare alla classifica finale e, nel frattempo, vincere di corto muso. Massimo rendimento con minimo sforzo. Con molte mischie a centrocampo, che hanno rischiato di compromettere la partita. Fino all’ultimo secondo: lo scudo per i datori di lavoro cancellato su richiesta del Colle. «Si è ritenuto di espungere queste 4-5 disposizioni, anche per la tenuta costituzionale del provvedimento, per non esporci a censure sul piano costituzionale», sottolinea il viceministro all’Economia Maurizio Leo.
La legge di bilancio
Insomma, lo spettacolo magari verrà su altri campi. Un po’ quello che succede a Palazzo Madama, che ieri ha completato la sua maratona approvando la quarta legge di bilancio della “preside” Meloni, con 110 sì, 66 no e 2 astenuti. “Una vittoria di misura. Bisogna solo stare attenti ai dettagli: questo è l’invito che facciamo al governo, perché nei dettagli si nasconde il diavolo”, motteggia Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega in Senato e protagonista del plateale freno a mano imposto al ministro Giancarlo Giorgetti sulle pensioni.
La zuffa della Lega
Titolo finale: una manovra da 22 miliardi per un percorso a zig zag, con la maggioranza costretta in corsa a cambiare il maxi-emendamento. La zuffa ha interessato prevalentemente la Lega, che ha ordinato al titolare del Tesoro di rimangiarsi alcune norme: la stretta sulle pensioni anticipate e la modifica del riscatto della laurea. A fine lezione, il ministro dell’Economia può tirare un sospiro di sollievo: “Quello che vorrei sottolineare è che siamo intervenuti su questioni che sembravano quasi impossibili”. “Il rapporto con Matteo Salvini?”, gli chiedono i cronisti che affollano la Buvette. “Magari gli porto un po’ di carbone sotto l’albero, ma siamo in transizione green quindi non si usa più”.
Lui, il vicepresidente del Consiglio, minimizza: “Non c’è stato nessun gelo, a me interessava non danneggiare i lavoratori allungando l’età pensionabile”. Che cosa è successo quindi? “È stata un’indicazione tecnica che la Lega ha fermato, quindi tutto è bene quel che finisce bene”, replica Salvini. In realtà, lo stato dei rapporti tra i due non sembra essere dei migliori: nel corso del Consiglio dei ministri molti hanno notato una certa freddezza. Prima del voto finale, il campo largo trova il tempo per allestire la recita finale: i senatori di Pd, Avs e M5S espongono in aula quattro diversi cartelli con la stessa traccia, “Voltafaccia Meloni”. I temi scelti sono le accise, la sanità, le tasse, la Fornero. In pratica, il fallo di reazione a risultato acquisito (dagli avversari). Il corto muso della manovra, poi, in realtà vede in nuce un traguardo significativo. Lo dice in aula il senatore di Fratelli d’Italia Andrea De Priamo: “Ci avviciniamo all’uscita dalla procedura di infrazione Ue pur abbassando l’aliquota Irpef per circa 14 milioni di italiani”.
Calenda: “Manca una visione del Paese”
Un taglio positivo che condivide anche il presidente dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri: “In questa manovra abbiamo impedito che scattassero la sugar tax e la plastic tax, abbiamo tutelato i bonus sulla casa, quelli al 50%, credibili, non quelli del Paese di Bengodi”. Più disincantato Carlo Calenda: “Manca una visione del Paese. Non si fa nulla sull’energia, sulla manifattura, e le grandi questioni come donne e giovani vengono ignorate”. Per il leader di Azione la premier ha due problemi: “La Lega al governo da un lato e l’incapacità di produrre un pensiero per il Paese dall’altro”. Inflessibile Matteo Renzi: “È aumentata la qualità dei concerti ma è diminuita la quantità del tempo dedicata alla legge di bilancio e la responsabilità è del governo”. Poi una sentenza pop: “È una manovra brutta, senz’anima. Mediocre come il ministro Giorgetti”. Da Claudio Baglioni a Riccardo Cocciante.
La palla ora passa a Montecitorio, che si riunirà domenica 28 dicembre per approvare la manovra il 30. In mezzo, l’ultimo Consiglio dei ministri dell’anno, convocato per il 29 sul decreto Ucraina. Con la Lega pronta ai fuochi d’artificio.
