Trump re di Israele, pace suggellata. L’asse con Giorgia Meloni e la tenuta di una linea che sembrava impossibile

Reggerà? Sarà davvero come ha detto il presidente Trumpl’alba di un nuovo futuro per il Medio Oriente”? Oppure tutto finirà come un castello di carte per eccesso di ambizioni e incomprensioni? Una sola cosa è certa: questo inizio di pace con la liberazione degli ultimi ostaggi è il frutto della Pax Americana. E lo sanno tutti, amici e nemici.

Gli Stati Uniti hanno potuto arrivare a questo risultato anche grazie alla solidarietà di una parte dell’Europa che, imitando Giorgia Meloni, non ha mai rotto con Trump neppure nei momenti più difficili nei rapporti fra Europa e Stati Uniti. Trump si sentiva in trionfo in Israele, circondato da folle non soltanto di ebrei ma anche di palestinesi che lo salutano gridando “Thank you mister Trump”. Contemporaneamente, il mondo della sinistra europea, e specialmente italiana, ha espresso tutta la sua frustrazione e l’ira per il successo della Casa Bianca imposto da Trump anche al riluttante Netanyahu. Non è andata giù la sparizione, fra grida di gioia di arabi ed ebrei, del giocattolo propagandistico più amato e redditizio: Gaza, i suoi troppi morti e le troppe menzogne sul mai esistito genocidio. Del piano originale proposto e imposto da Trump per ora si è realizzato soltanto il primo e più importante punto: la restituzione dei martoriati ostaggi sopravvissuti e i resti di quelli morti. Ma tutto il resto, la grande conferenza che dovrebbe portare a una definitiva stabilità al Medio Oriente, è per ora un vago sogno che incontrerà certamente molti ostacoli, come accadde a Versailles alla fine della Grande Guerra e a Yalta, in Crimea, alla fine della Seconda guerra mondiale.

Intanto si avvampava la temperatura dei commenti sui social per la vittoria del presidente americano, chiedevano con sdegnato sarcasmo “quanto avete pagato Hamas affinché si ritirasse?”. Paradossalmente, la gioia di israeliani e palestinesi per la fine delle ostilità a Gaza e il ritorno degli ostaggi alle loro famiglie, sui media veniva presentata come una vittoria “di destra” e non un primo passo verso la pace, con lo stesso ordine in cui potrebbe accadere in Ucraina: prima si sospende il fuoco e poi si tratta. La rappresentanza europea si è estesa oltre Giorgia Meloni, con il Primo ministro inglese Keir Starmer, il Presidente francese Emmanuel Macron e persino il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez, che all’ultima riunione della Nato aveva annunciato al suo segretario generale Mark Rutteche la Spagna non avrebbe versato un euro in più per la Nato”. Trump commentò con condiscendenza: “Povera gente, speriamo che un giorno non debbano pentirsi”.

In realtà Trump ha dimostrato più lungimiranza ed autodisciplina di quanta ne avesse mostrata nei mesi scorsi: il suo asse con Giorgia Meloni, anche nei momenti più bui delle relazioni tra Europa e Stati Uniti, ha permesso non soltanto che il filo non si spezzasse, ma che mostrasse la tenuta di una linea che sembrava impossibile. Mantenere solido e robusto l’aggancio con gli Usa senza mai incoraggiare le pozioni belliciste dei “volenterosi” (come la Polonia, gli Stati Baltici, la Francia e il Regno Unito) che sostenevano l’imminenza ineluttabile di uno scontro armato con la Russia. La “linea Meloni” è servita a mantenere il legame tra le due sponde dell’Atlantico ed ha convinto gli altri Paesi europei a riavvicinarsi alla Casa Bianca e offrire appoggio e solidarietà anche in Medio Oriente.

Nessuna sorpresa che Donald Trump fosse al settimo cielo davanti alla Knesset (il Parlamento di Gerusalemme), perché quando ha annunciato solennemente che “Non finisce solo la guerra, finisce l’era del terrore, e ora passeremo alla Russia”, giornalisti, deputati e gente comune erano in delirio nelle strade per il presidente americano e coprivano con qualche “boo!” di disapprovazione il loro primo ministro. Uno spettacolo mai visto prima: Israele portava in trionfo un presidente straniero e rumoreggiava contro il proprio primo ministro, il quale ha reagito con una mossa altera, annunciando che non si sarebbe presentato all’apertura del vertice in Egitto dove si terrà “la nuova Yalta” sul Medio Oriente per partecipare alla festività di Simchat Torah, la stessa che i giovani israeliani celebravano due anni fa durante il “rave” da cui partì il pogrom del sette ottobre.

Ciò che accadrà a Sharm el-Sheikh lo vedremo nei prossimi giorni e mesi ma l’obiettivo più ambizioso è quello di rimettere insieme i cocci dell’antico Impero ottomano, cioè l’attuale Medio Oriente, e che dovrebbe nascere dagli “Accordi di Abramo” concepiti per far mettere in moto un colosso che produca ricchezza, posti di lavoro, energia e un polo tecnologico che unisca industrie fra Israele, Arabia Saudita, i Paesi arabi occidentalizzanti e, naturalmente, gli Stati Uniti. Gli ostaggi che ne avevano la forza hanno subito cominciato a raccontare il loro inferno e i giornalisti raccolgono testimonianze che leggeremo nei prossimi giorni, mesi ed anni.