Siede nello Studio Ovale ma, più che da statista, Donald Trump agisce come un ruvido uomo d’affari. Mentre il presidente degli Stati Uniti ha appena affermato che i paesi NATO devono smettere di acquistare petrolio russo se vogliono che Washington inasprisca le sanzioni contro Mosca, all’incontro a metà agosto ad Anchorage tra Putin e Trump sono state riaperte le discussioni sugli accordi energetici tra Stati Uniti e Russia, in particolare sul possibile ritorno di Exxon al progetto di sviluppo petrolifero e gasiero Sakhalin-1.
L’invasione dell’Ucraina aveva provocato l’esodo di diverse compagnie petrolifere internazionali tra cui Exxon dalla penisola di Sakhalin e dal circolo polare artico siberiano, dove la potenziale futura produzione sembra essere di 2,3 miliardi di barili di petrolio e di 500.000 miliardi di metri cubi di gas naturale. Ma più ancora, all’orizzonte c’è lo sfruttamento delle enormi risorse energetiche dell’area. Un potenziale che potrebbe modificare gli attuali equilibri dei mercati di sbocco nel Far East. La Siberia circonda oltre la metà del circolo polare, lasciando la rimanente parte ad Alaska, Canada e Groenlandia. Non solo il potenziale di riserve di idrocarburi del Canada è enorme, solido e stabile ma è anche una finestra sul Circolo Polare Artico.
Diventa lampante la partita che intende giocare il presidente Trump con l’annessione del Canada come 51esimo stato americano e le sue mire espansionistiche sulla Groenlandia. Potrebbe sembrare incredibile ma gli Stati Uniti, ritenuti oggi la potenza energetica numero uno al mondo, sono in realtà un gigante con i piedi di argilla sia sul fronte degli approvvigionamenti, che sul fronte della capacità di raffinazione. Va chiarito che il petrolio greggio acquista davvero valore (e utilizzi dalle automobili agli aeroplani) quando viene raffinato. Gli Stati Uniti riescono con grande difficoltà a rifornire il mercato interno con la benzina che serve ogni giorno. Una strozzatura alla pompa di benzina è un evento doppiamente calamitoso per gli Usa: andrebbe a ingrippare un modello economico che “gira” sui combustibili fossili e a colpire proprio quella parte dell’elettorato dove è radicato il consenso per Trump. Non può e non deve succedere.
Prendendo di petto con dazi e minacce il Canada, Paese che rifornisce per 40% di materia prima le raffinerie statunitensi e copre il 74% del gas liquefatto che, dal terminale Henry Hub in Louisiana viene esportato nel mondo, il presidente Trump ha ottenuto il risultato opposto a misure di rafforzamento della cooperazione e dei legami commerciali (reti di trasporto e investimenti congiunti) tra i due vicini. Ma Trump – è risaputo – non ha la paziente sagacia del negoziatore che soppesa tutte le sfaccettature della complessità della situazione quanto piuttosto l’irruenza del broker che vuole portare presto l’affare a casa. Nonostante non sia realizzabile a breve, se il Canada iniziasse ad esportare il suo gas e petrolio verso l’Europa e l’Asia, il danno per gli Usa sarebbe quasi irreparabile. Anche per questo, Trump ha blindato l’accordo sui dazi con l’Ue, con l’impegno per l’Europa dell’acquisto-farsa di 750 miliardi di dollari di Gnl, petrolio e prodotti energetici americani entro il 2028. Ha ottenuto l’effetto mediatico, anche se rimane un semplice auspicio, perché il governo di Washington non ha l’autorità per garantire – infatti non ha definito né volumi, né prezzi – che i gruppi privati acquistino secondo i desiderata del Presidente.
Tornando all’ammonimento di Trump dello scorso 13 settembre ai paesi NATO, mentre l’Ue si è impegnata di portare a zero tutte le importazioni di petrolio dalla Russia entro il 2027, i tre Paesi maggiormente implicati nell’import di greggio russo sono Ungheria, Slovacchia e Turchia. In particolare, la Turchia è il terzo maggior importatore di petrolio dalla Russia. L’abbinata vincente del prezzo scontato e della vendita di prodotti raffinati venduti all’Europa rende abbastanza improbabile che Ankara sia reattiva. Finora le diffide del presidente Trump erano indirizzate a India e Cina. Ma alla riunione della Shanghai Cooperation Organization, sono emersi delle nuove alleanze che sparigliano i classici schemi di scontro tra superpotenze e schiudono nuovi equilibri sul mercato oil&gas. Mentre anche su questo piano i leader europei sembrano incapaci di alzare lo sguardo e comprendere a portata della sfida. Per dirla secondo il discorso di Draghi.
