Il confitto
Le truppe israeliane pronte alla battaglia decisiva: al via l’assedio a Gaza
Nel frattempo dalla striscia di Gaza escono i primi stranieri, tra cui quattro italiani. Gli Usa lavorano per individuare gli ostaggi
Le forze armate dello Stato di Israele si preparano alla battaglia decisiva, quella per Gaza city. Le truppe dello Stato ebraico sono arrivate alle porte della città, roccaforte delle forze di Hamas e del Jihad islamico palestinese. E dopo i primi blitz in periferia con i carri armati e mentre gli aerei continuano i loro bombardamenti su tutta la Striscia, le Israel defense forces sono pronte a dare il via a quella che, a tutti gli effetti, è la fase principale di questa operazione terrestre, e cioè l’assedio e la battaglia dentro Gaza. Una città su cui i miliziani di Hamas hanno plasmato la propria strategia militare, dove hanno costruito reti impenetrabili di tunnel, trappole, nascosto ostaggi e dove le loro postazioni lanciamissili o dei cecchini sono confuse o vicine agli edifici civili. Proprio per questo motivo, nessuno, né tra le Idf né all’interno del governo di Benjamin Netanyahu, nega la difficoltà della missione. Lo ha ribadito lo stesso primo ministro israeliano che, dopo la notizia dei primi 16 caduti tra i suoi soldati dall’inizio dell’offensiva terrestre, ha ammesso che la guerra, “lunga e difficile”, ha già portato risultati “ma anche perdite dolorose”.
L’avanzata con raid mirati
L’obiettivo però non sembra destinato a cambiare. E le Tsahal, le forze armate di Israele, avanzano verso la resa dei conti con Hamas mentre prosegue la sua decapitazione con raid mirati: l’ultimo è quello che ha portato all’uccisione di Muhammad Asar, capo dell’unità missilistica anticarro di Hamas. Ieri, il leader dell’organizzazione, Ismail Haniyeh, parlando da Doha ha ripetuto che lo Stato ebraico va incontro a una “clamorosa sconfitta” dopo “essere stato sconfitto il 7 ottobre”. Il riferimento è all’assalto nel sud di Israele che è costato la vita a 1400 persone e che ha portato al rapimento di centinaia tra civili e soldati. Proprio riguardo quell’attacco, le Idf hanno pubblicato le dichiarazioni di Amer Abu Ghosha, membro dei commando Nukhba, che in un interrogatorio ha ammesso che i miliziani avevano una sola missione, quella di uccidere, e di avere anche partecipato all’uccisione di bambini nel kibbutz di Kfar Aza. Un orrore cui si aggiunge il tema del destino delle persone rapite e che continuano a essere nelle mani di Hamas.
320 persone, oltrepassano il valico di Rafah
Il capo politico dell’organizzazione palestinese ha confermato che ogni trattativa per la liberazione degli ostaggi passa necessariamente per il cessate il fuoco: condizione, quest’ultima, che Netanyahu ha però già detto di non volere considerare. Un segnale positivo è giunto ieri con l’uscita dalla Striscia di circa 320 persone, autorizzate a oltrepassare il valico di Rafah. Si tratta di feriti e di cittadini stranieri: tra questi anche quattro italiani. La speranza è che questa procedura sia ripetuta nei prossimi giorni e lo ha confermato anche il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che su X ha sottolineato il ruolo di Washington per questa svolta umanitaria. Nel frattempo, gli Usa lavorano anche sul fronte della liberazione degli ostaggi: dossier a cui lo stesso Biden ha dato la massima priorità. Il New York Times, citando anonimi funzionari della sicurezza, ha scritto che i commando americani sono già in Israele per aiutare gli alleati a identificare gli ostaggi, individuarli e attivarsi anche per eventuali evacuazioni o proteggere le ambasciate Usa sia nel Paese che nel resto della regione.
Il rischio escalation
Non è un mistero, infatti, che Washington tema un’escalation di ampia portata che sfugga al controllo non solo delle parti in guerra ma anche di sponsor esterni come l’Iran. Il segretario di Stato Anthony Blinken è pronto a un nuovo viaggio a Tel Aviv, già questo venerdì, per discutere con Netanyahu del conflitto, e ha avuto un colloquio con il presidente israeliano Isaac Herzog per ribadire il sostegno militare Usa ma anche gli avvertimenti sul rispetto del diritto internazionale umanitario, la protezione dei civili palestinesi e l’impegno a evitare un allargamento del conflitto. I timori riguardano tutti i Paesi della regione. Gli ultimi missili lanciati dalle forze Houthi dello Yemen hanno costretto Israele a inviare una nave nel Mar Rosso come deterrente in caso di nuovi attacchi diretti principalmente contro Eilat. Non mancano però altri fronti particolarmente instabili. Il primo indiziato è il Libano, dove si attende il discorso di venerdì del capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Da più di venti giorni è un susseguirsi di lanci di razzi verso Israele e attacchi missilistici delle Idf contro le milizie sciite, e dal governo di Beirut continuano ad arrivare richieste di non allargare il conflitto a un Paese già sull’orlo dell’abisso.
Segnali dal fronte nascosto
Inoltre, continuano ad arrivare segnali preoccupanti anche da quello che è il fronte “nascosto”: la Cisgiordania. A conferma del pericolo, fonti dell’agenzia Anadolu hanno inoltre rivelato che Blinken dovrebbe recarsi anche in Turchia. Un Paese dove ieri è arrivato il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir Abdollahian, e dove si attende anche un prossimo viaggio del presidente Ebrahim Raisi.
© Riproduzione riservata






