Una noiosa vacanza a Montecatini, è stato lì che ho scoperto il jazz e Gerry Mulligan

Non credo che Gerry Mulligan sia mai stato a Montecatini Terme. Non ce lo vedo a bere acqua, tantomeno quella “depurativa” dello stabilimento Tettuccio. Eppure io l’ho incontrato proprio lì. Per la prima volta, nel 1977. Avevo dodici anni. Avevo trascorso la solita estate al mare e, ai primi di settembre, i miei genitori contavano sulla tradizionale settimana a Montecatini Terme. Andavano là a “passare le acque” e, come ogni volta, mi avevano imposto di seguirli. Anche quell’anno mi toccò prendere alloggio nella camera tripla dell’Hotel Adua, uno dei tanti alberghi per gli ospiti delle terme.

Ero particolarmente contrariato perché gli amici dei miei genitori non avevano portato loro figlio. Lui era poco più grande di me e questa volta non si era fatto infinocchiare. La cosa mi deprimeva alquanto: non avevo nemmeno il compagno per giocare a ping-pong nel giardino dell’albergo. Vicino all’hotel c’era il cinema e accanto al cinema una gelateria che smerciava a più non posso le famose cialde di Montecatini con sopra la panna montata: unica ragione valida per non mettersi a piangere tutti i giorni della settimana per l’orrida permanenza in quel luogo. Una sera andammo a vedere un film catastrofico. Ce n’erano vari in quegli anni, tipo Airport ’77, L’inferno di cristallo e altri. Il nostro si intitolava Cassandra Crossing ed era la storia di un treno pieno di passeggeri e di un terrorista che aveva contratto un virus terribile.

Le autorità militari, per non diffondere il virus, avevano deciso di piombare e chiudere saldamente il treno, e poidirottarlo sopra un ponte in Polonia, chiamato appunto Cassandra Crossing, che nessuno sapeva fosse pericolante – vi lascio immaginare la tragedia… Ecco, noi eravamo al cinema a vedere questo film quando sul più bello, in uno dei momenti più tesi della storia, si sentì un rumore fortissimo in sala, come una specie di esplosione, e un sibilo che pervase tutta la platea. La gente cominciò a urlare e scappare, accalcandosi verso l’uscita. Nel caos generale qualcuno cadde in terra e qualcuno si fece male. Mia mamma urlava come una forsennata e mi spingeva fuori da una delle porte della galleria. Si accesero le luci in sala e mio babbo, che prima aveva detto: “via via, forza, fuori, veloci!”, cominciò a capire ciò che stava accadendo. Era caduto un estintore in terra e aveva iniziato a spruzzare fuori la sua schiuma. Niente di grave.

Io non volevo stare a Montecatini, e dopo la serata di paura al cinema non mi bastavano più nemmeno le cialde con la panna montata. Ma i miei non mollavano. Insomma, ciondolavo tra l’albergo e il corso principale, tra la tv della sala pranzo e il Kursaal, una sala giochi dove mio padre mi lasciava andare malvolentieri perché riuscivo a sgonfiare il suo portafogli in meno di due ore. Un giorno, bivaccando in una piazzetta interna ad alcuni edifici, entrai in un negozio di dischi. A parte i 45 giri ereditati da mio fratello più grande, tra cui svettavano Bada bambina di Little Tony e Bella Belinda di Gianni Morandi, l’unico 33 giri che avevo acquistato in vita mia era stato Burattino senza fili di Edoardo Bennato, che era uscito proprio quell’anno. Quindi, il mio rapporto con il vinile era da imberbe e inesperto. Tuttavia, questo negozio conteneva in maniera adeguata la mia noia, nel senso che appena fui lì dentro dimenticai immediatamente dove fossi e cominciai a occuparmi esclusivamente dei dischi.

Mentre girellavo tra gli scaffali sentivo una musica che non avevo mai ascoltato prima, né in radio né tra i dischi di mio fratello. Era forte, sincopata, suonavano degli strumenti che parevano a fiato e non c’erano parole. Ascoltavo incuriosito, ma non mi decidevo a chiedere al proprietario cosa fosse quel tipo di musica. Finché, dopo altri giri tra uno scaffale e l’altro, mi feci coraggio e il proprietario del negozio mi rispose: “È jazz. È un disco che è arrivato questa settimana”. E mi disse: “Senti questo pezzo. C’è un assolo di batteria”. Ed era davvero potente. Tanto che gli chiesi: “Cos’è?” E lui mi disse: “È swing”, ma lo disse con troppa convinzione che non pareva sicuro fosse davvero swing.

Mi dette in mano la copertina del long playing. C’era in primo piano un musicista di profilo, biondissimo, con la barba, che imbocca l’ancia di un sassofono. Il pezzo che ascoltavamo s’intitolava Disc Jockey Jump, e il tizio mi spiegò che era un batterista molto famoso in America negli anni ’40 del Novecento. E io dissi: “Che c’entra un batterista se suona il sassofono?”. E il proprietario del negozio mi spiegò che l’orchestra era del batterista che si chiamava Gene Krupa, ma il disco era composto interamente da brani musicali arrangiati dal sassofonista, ed era l’omaggio a questo arrangiatore per musiche da big band. Gli chiesi di ascoltare altri pezzi e lui dopo il secondo mi disse: “Guarda che questo è un grandissimo disco. Compralo. Anche se sei piccolo, magari puoi apprezzare questa musica”. Tornai in albergo. Durante la cena cercavo di ricordare l’assolo di batteria e pensavo: che vuol dire “sei piccolo”? A me piaceva quella musica.

Il giorno seguente feci opera di corruzione nei confronti di mia madre per farmi dare 12mila lire. Le dissi che se non mi avesse dato quei soldi avrei piantato un casino totale per rientrare a casa prima del tempo. E quelle 12mila lire sul momento potevano essere la maniera per tenermi tranquillo. Tornai al negozio del giorno prima. Mi sentivo abbastanza grande per comprare il jazz. Andai dritto dal tizio e gli dissi: “Voglio il disco di ieri”. Uscii dal negozio con Gerry Mulligan, The Arranger. Era settembre 1977. Disc Jockey Jump era stato registrato soltanto trenta anni prima, il 22 gennaio 1947. È passato più tempo da quando comprai il mio primo disco di jazz a oggi, di quanto non ne fosse passato dalla registrazione all’incisione e alla commercializzazione. Se ancora oggi prendo quel vinile e lo metto sul piatto, ricordo a memoria ogni frase e melodia di quei brani musicali. Montecatini Terme per me esiste esclusivamente in funzione di quel disco.