Unifil e soldati italiani sono d’intralcio in Libano, militari chiusi nei bunker 6 ore al giorno mentre fuori c’è la guerra

Convocazione dell’ambasciatore, protesta e richiesta di spiegazione ufficiale. La reazione del governo italiano agli spari contro le basi Unifil è stata immediata, ma la fretta è cattiva consigliera quando si tratta di analizzare un complesso quadro geopolitico. Da giorni è ripartito il dibattito sul ruolo della forza militare di interposizione dell’ONU. D’altronde il Generale Leonardo Tricarico, intervistato dal Riformista prima che la situazione degenerasse, aveva usato parole chiarissime: «Il contingente italiano ha perso gran parte del suo significato in questo ultimo anno perché è lì esattamente per impedire che succeda ciò che sta accadendo. È tutto finito, ha perso senso quella missione».

Militari italiani chiusi nei bunker 6 ore al giorno

I militari italiani non possono fare molto altro se non restare all’interno delle proprie basi, al riparo dalle bombe e dalle ostilità. Chiusi nei bunker fino a 5-6 ore al giorno. Sulla linea del fuoco. Bloccati da regole d’ingaggio datate e ormai inadeguate. Le loro attività operative sono limitate. Una situazione che crea una certa frustrazione. I caschi blu hanno le mani legate: le regole non sono proporzionali ai compiti assegnati. A queste condizioni è impossibile disarmare le milizie armate in Libano.

Unifil fallimento, Hezbollah attacca da mesi Israele

Il primo ministro Benjamin Netanyahu si muove tra due fuochi: disinnescare tutte le postazioni di Hezbollah e astenersi da falli di reazione. Spuntare le armi dell’avversario e far sì che non venga ulteriormente alimentata la narrazione che dipinge Israele come uno Stato terrorista. Sebbene siano comprensibili i risentimenti verso l’ONU e il segretario generale António Guterres. Ma la domanda sorge spontanea: Unifil permette tutto ciò? Dario D’Angelo, blogger di geopolitica, non ha dubbi: «Con tutto il rispetto per i sacrifici dei nostri soldati, è un fallimento totale. Il fatto che Hezbollah abbia potuto attaccare Israele per mesi, lanciando migliaia di razzi verso il territorio israeliano indisturbato, conferma che la “missione di pace” semplicemente non era efficace».

“Siamo d’intralcio”

C’è un altro paradosso di fondo, un errore di valutazione che crea una situazione potenzialmente pericolosa per i soldati italiani: la fase di de-escalation in Libano viene dopo; ora la priorità è liberarsi di Hezbollah. Ma c’è un piccolo ostacolo, tutt’altro che banale. «Lì siamo d’intralcio. E se non siamo in grado di combattere (né abbiamo intenzione di farlo) ciò significa che dovremmo renderci conto che Israele (un nostro alleato) in quell’area è all’attacco», denuncia D’Angelo.

Israele è in pressing affinché l’Organizzazione delle Nazioni Unite ritiri Unifil dalle zone di conflitto, visto che stabilità e sicurezza nella regione restano ancora oggi un’utopia. Eli Cohen, ministro israeliano dell’Energia e delle Infrastrutture, va dritto al punto: «Queste forze non hanno garantito l’applicazione delle risoluzioni ONU e fungono da scudo per Hezbollah, un’organizzazione terroristica e un’agenzia dell’Iran». E non risparmia parole di fuoco verso Guterres: «È giunto il momento che lei risponda alla richiesta che le è stata rivolta, che smetta di fare il gioco dell’Iran».

Sulla stessa linea Victor Fadlun, presidente della comunità ebraica di Roma: «Hezbollah si fa scudo di postazioni ONU e persegue obiettivi di terrore». Sfrutta le missioni di mantenimento della pace come copertura per le sue attività terroristiche. Come può riuscire a piazzare le proprie armi a pochi metri da una postazione Unifil?

L’Italia ha tutto il diritto di salvaguardare la sicurezza dei propri soldati, così come Israele ha tutto il dovere di respingere l’avanzata di Hezbollah. E non avere intralci da paesi amici sarebbe un passo avanti significativo. Anche perché i nostri soldati sono in una posizione delicata e di debolezza se si considerano le altre parti in causa. Valutazioni a caldo e prove muscolari rischiano di portare a clamorosi errori di posizionamento, finendo per fornire un assist a chi mette sullo stesso piano una democrazia completa del Medio Oriente e i terroristi.