Nelle ultime settimane la presenza della flotta statunitense nel Mar dei Caraibi, di fronte alle coste del Venezuela, ha assunto proporzioni difficilmente compatibili con il solo obiettivo dichiarato di contrastare il narcotraffico. Secondo fonti americane, dall’inizio di settembre sono stati compiuti diversi attacchi mirati contro imbarcazioni dei cartelli della droga: piccole unità sospette sono state direttamente affondate invece di essere abbordate, e i loro equipaggi presumibilmente morti nell’esplosione.
Una tattica insolita, se l’unico scopo fosse davvero solo il sequestro degli stupefacenti. Il modus operandi scelto, quello dell’affondamento, appare infatti più come un segnale, forte, politico e militare che come una mera operazione di polizia marittima. Ma è soprattutto l’imponente forza aeronavale dispiegata dagli Stati Uniti a sollevare interrogativi. La task force comprende almeno tre cacciatorpedinieri lanciamissili classe Arleigh Burke, dotati di sistemi Aegis (un sistema integrato di difesa ed attacco, basato su radar sofisticati, missili, cannoni e unità esterne, tutti controllati in tempo reale) e capacità di attacco a lungo raggio, incrociatori lanciamissili classe Ticonderoga, una nave d’assalto anfibia portaeromobili classe Wasp capace di imbarcare marines e mezzi corazzati per operazioni a terra, oltre a unità di supporto logistico e, infine, un sottomarino d’attacco classe Los Angeles a propulsione nucleare.
Circa 4500 tra Marines e militari sono imbarcati sulle navi, mentre una forza aerea che comprende i caccia F-35, è dislocata a Portorico. Una composizione che somiglia più a una squadra d’attacco completa che a una missione anti-narcotici. È inevitabile quindi domandarsi se l’amministrazione Trump non abbia in mente un secondo fine: inviare un messaggio di forza al regime di Nicolás Maduro, che da anni viene accusato non solo di coprire ma addirittura di favorire quello che Washington definisce “narcoterrorismo”. Il dittatore venezuelano viene infatti da tempo indicato come a capo del “Cartel del los Soles”, una sorta di “mafia” governativa che coinvolge alti vertici del governo e delle forze armate che copre le attività di narcotraffico operate dai cartelli, ricevendone in cambio ampi benefici economici.
In questo quadro, l’azione americana può essere letta come una doppia strategia: da un lato colpire i traffici illeciti che finanziano reti criminali, gruppi armati e lo stesso governo Maduro e dall’altro aumentare la pressione su Caracas, mostrando che gli Stati Uniti hanno la capacità di proiettare potenza, direttamente davanti alle sue coste, per ora. La presenza di una forza aeronavale così ampia e versatile, capace di operare sia in mare che a terra, suggerisce che l’amministrazione Trump stia valutando l’opzione di un vero e proprio regime-change in Venezuela. Non sarebbe la prima volta che Washington ricorre alla pressione militare per indebolire un regime ostile e aprire la strada a un cambio politico interno. L’obiettivo implicito potrebbe essere quello di logorare Maduro, isolandolo economicamente e politicamente, fino a favorire una transizione di potere più favorevole agli interessi americani nella regione. Non si tratta, quindi, solo di una guerra alla droga. È, con ogni probabilità, una dimostrazione di forza geopolitica in piena regola, il rischio, tuttavia, è di trasformare il Mar dei Caraibi in un nuovo punto caldo dello scacchiere internazionale, perché Maduro non sembra avere alcuna intenzione di deporre lo scettro del potere.
