Un vertice informale. Un vertice cruciale. La due giorni di Granada – ieri la Comunità politica europea che vede insieme 27 e i 17 paesi che insistono sull’area di influenza europea – diventa un “importante momento chiarificatore” rispetto all’alleanza occidentale che sostiene Kiev e la resistenza ucraina. E rischia di essere anche un momento di svolta reale rispetto al dossier immigrazione. Non tanto per il via libera a maggioranza del nuovo Patto europeo per l’immigrazione e l’asilo che ha finalmente risolto il capitolo delle “emergenze” che ancora teneva in stallo l’accordo così tanto supportato da Ursula von dr Leyen che ne vorrebbe fare uno dei punti d’onore di una legislazione segnata da pandemia, guerra, inflazione e flussi migratori fuori controllo. La novità è stato il tavolo, non in agenda ma voluto da Giorgia Meloni, intorno al quale si sono riuniti ieri Italia, Uk, Francia, Paesi Bassi, Albania e Commissione Ue. Dopo la Brexit è forse il momento in cui l’ex paese membro è stato più vicino a Bruxelles. In nome della lotta all’immigrazione clandestina.
Andiamo con ordine. La Comunità politica europea, format voluto da Macron quattro mesi dopo l’inizio della guerra in Ucraina e giunto alla sua terza edizione. Capita a fagiolo dopo una settimana in cui si sono intraviste crepe preoccupanti nel blocco di paesi che da diciannove mesi supporta senza se, e senza ma, la resistenza Ucraina. In nome della difesa delle democrazie e della sovranità e dell’autoderteminazione dei popoli. Prima Washington che per la prima volta non ha inserito in bilancio i sei miliardi necessari a fornire il supporto militare e logistico a Kiev. Il Congresso è ostaggio dell’ultra destra vicina a Trump e Biden ha dovuto soprassedere rinviando a metà novembre lo stanziamento dei fondi. Poi la Slovacchia che ha eletto Robert Fico, il socialista filuputinista e amico di Orban.
La Polonia che già a settembre ha detto “basta soldi a Kiev”. E’ in corso una campagna elettorale che da qui al novembre 2024 (domenica votano due importanti lander tedeschi, il 15 ottobre la Polonia va al voto, a giugno l’Europa, a novembre la Casa Bianca) potrebbe ridisegnare l’ordine mondiale. “Uno strano clima” ha sottolineato Zelensky che dopo aver avuto tutte le rassicurazioni necessarie da Biden, è volato ieri a Granada proprio per guardare in faccia i suoi alleati. La prima è stata Giorgia Meloni. Anche la premier italiana, incalzata in maggioranza da filuputinisti travestiti da pacifisti, ha parlato in questi giorni di “war fatigue”, stanchezza della guerra, di effetti collaterali, prima di tutto l’inflazione, che cominciano a provocare disorientamento nei cittadini. “Sono reazioni che chi governa non può sottovalutare”. Ieri Zelensky ha avuto “tutte le rassicurazioni possibili” e le ha volute subito condividere sui suoi social. Segnali di fumo a casa, per tenere alto l’umore. Meloni ha offerto l’ottavo pacchetto di aiuti militari. “Abbiamo riaffermato la forte partnership italo-ucraina” ha scritto i leader ucraino in un lungo e rassicurante post. La Germania ha promesso l’invio di un nuovo sistema di difesa missilistico. Von der Leyen e Michel hanno messo sul tavolo un “nuovo importante pacchetto di aiuti” per Kiev. Macron non ha dubbi: “Non abbiamo diritto ad essere stanchi perché è in gioco la sicurezza dell’Europa”. Basterà per tenere a bada incertezze e stanchezza da guerra? Di sicuro l’Europa sta facendo quadrato su Zelensky. E anche su Biden.
Rassicurato Zelensky, apparso però stanco e teso, la notizia del giorno è stato il bilaterale, poi diventato a 6, tra Meloni e il premier britannico Rishi Sunak. Tema: immigrazione. Che non era in agenda della Cpe e che Meloni ha comunque ottenuto, con la lettera della scorsa settimana, di inserire nel Consiglio europeo informale di oggi. “Non direi che l’Italia è isolata” ha sottolineato ieri con una certa soddisfazione e annunciando il tavolo con Sunak poi ampliato, col passare delle ore.
L’idea era nata al G20 di Nuova Delhi e si è concretizzata ieri a Granada: Italia e Gb uniti e promotori di un nuovo format allargato a Paesi europei ma fuori dall’Unione per mettere in campo iniziative comuni per la lotta contro il traffico di esseri umani. Assente il cancelliere tedesco Olaf Scholz ma anche il padrone di casa Pedro Sanchez. L’obiettivo è quello di mettere in campo azioni concrete e coordinate per combattere il traffico di esseri umani.
Passare “dalla diagnosi alla cura”. Dalle chiacchiere ai fatti. Si parla di scambi informativi e di intelligence, collaborazione tra le polizie, accordi con i Paesi di origine e di transito mediati da Oim e Unhcr, gra, veri e propri partenariati. Non si sarebbe mai parlato del modello Ruanda per i rimpatri messo in piedi da Sunak, apprezzato da Meloni che per l’appunto alle Nazioni Unite aveva avuto un bilaterale con il Ruanda. Il modello Ruanda – parcheggiare nel paese africano i richiedenti asilo giunti in Gran Bretagna illegalmente e in attesa di risposta – è stato giudicato “illegale” dalla Corte d’Appello di Londra. Prima ancora dalla Cedu e da svariate associazioni umanitarie. E però Sunak ha fatto ricorso e ripete: “E’ il governo di questo paese che decide chi arriva. Non certo le bande di trafficanti”. Affermazione identica a quella di von der Leyen il 17 settembre a Lampedusa: “Decide l’Europa chi entra in casa sua e non i trafficanti”.
