Yacht, ville e partecipazioni societarie congelate in Italia: i beni di lusso russi che costano allo Stato

In Italia sono congelati beni russi per oltre 2,3 miliardi di euro. Non si tratta solo di yacht e ville di lusso in Costa Smeralda, a Portofino o sul Lago di Como, ma anche di partecipazioni societarie e imprese nei settori turistico-alberghiero, energetico e manifatturiero. Un patrimonio che racconta la profondità dell’influenza economica degli oligarchi legati al Cremlino nel nostro Paese. Il paradosso è che questi beni, pur congelati, costano. L’Agenzia del Demanio ha già speso circa 45 milioni di euro per custodirli e mantenerli. In altre parole, i contribuenti italiani finanziano la sopravvivenza di asset che appartengono a uomini d’affari arricchiti grazie a un sistema cleptocratico, mentre in Ucraina si combatte e si muore per difendere libertà e indipendenza. In tutta Europa, i beni russi congelati ammontano a oltre 260 miliardi di euro, perlopiù di natura finanziaria. A Bruxelles ci si divide sul loro destino. Alcuni governi spingono per una linea prudente, non toccare il capitale e limitarsi a utilizzare i proventi maturati (finora, sono stati destinati all’Ucraina circa 3,7 miliardi di euro). Ma è evidente che questa cifra è minima rispetto al fabbisogno di Kyiv: l’Ucraina consuma miliardi al mese per difendersi, pensare che qualche interesse maturato basti a riequilibrare lo sforzo bellico è pura illusione. Altri Paesi, invece, chiedono una scelta più netta: la confisca definitiva.

Italia corresponsabile

E l’Italia? È fortemente corresponsabile, con le sue posizioni prudenti e attendiste, del mancato utilizzo dell’intera massa di beni congelati. Il governo italiano (insieme a tedeschi e belgi) teme che un esproprio integrale danneggi l’immagine del Paese e dell’Europa come luogo sicuro per gli investimenti privati. È un’argomentazione comprensibile, ma non convincente. Quegli asset non sono frutto di libera impresa, bensì di logiche predatorie e cleptocratiche proprie del regime putiniano. Difenderli in nome del diritto di proprietà significa confondere capitalismo e rapina di Stato. Il congelamento perpetuo è una foglia di fi co. L’unica scelta coerente e giusta è la confisca finalizzata, con un obiettivo preciso: finanziare il sostegno militare a Kyiv. Qui l’Italia potrebbe giocare un ruolo decisivo. La nostra industria della difesa è tra le più avanzate d’Europa, con Leonardo, Fincantieri e Iveco Defence Vehicles a fare da apripista a un’industria plurale e diffusa. Trasformare yacht, ville e partecipazioni societarie degli oligarchi in commesse militari significherebbe rafforzare l’Ucraina e al contempo sostenere occupazione, innovazione e sicurezza in Italia.

Un regalo a Mosca

È un investimento doppio: nella libertà europea e nell’industria nazionale. Ogni giorno che passa senza questa decisione è un giorno regalato a Mosca, che continua indisturbata a usare il tempo come arma. Accanto agli asset materiali, restano quelli politici che la Russia ha coltivato in Italia. Il protocollo di collaborazione tra la Lega e Russia Unita del 2017 è cosa ormai nota e mai smentita, così come è ormai emblematico l’ardore di figure mediatiche come Alessandro Orsini, le cui posizioni indulgenti verso la narrazione del Cremlino sono ormai un genere teatrale. Più recentemente, in Calabria, la filosofa Donatella Di Cesare, nota per le sue posizioni a dir poco indulgenti verso le narrazioni del regime moscovita, è indicata come possibile candidata nelle liste promosse dal candidato presidente Pasquale Tridico.

La doppia confisca

Peggio ancora che spendere soldi per mantenere ville, yacht e aziende di proprietà russa, c’è l’accondiscendenza nei confronti di questi tentativi di penetrazione politica e culturale del putinismo nelle nostre istituzioni repubblicane. Ed è sconfortante vedere come la principale forza di centrosinistra, il Partito Democratico, non sollevi obiezioni di fronte a candidature che rappresentano veri e propri asset politici del Cremlino. Un’indulgenza che equivale a corresponsabilità politica: davvero la rincorsa al governo di una regione vale la svendita della Repubblica al peggior avversario dell’Occidente libero e democratico? No. Per questo l’Italia deve compiere oggi una “doppia confisca”. Quella materiale (trasformare beni congelati in risorse concrete per la difesa ucraina) e quella politica e culturale: sottrarre spazio e legittimità a chi agisce da megafono del putinismo nel nostro Paese.