Ahmad Rafat: “Solo la morte di Khamenei metterà fine a un regime che considera la bomba atomica un’assicurazione per la sopravvivenza”

AHMAD RAFAT GIORNALISTA

Il giornalista, scrittore e traduttore italo-iraniano Ahmad Rafat, fondatore dell’associazione Iniziativa per la Libertà d’Espressione in Iran e membro del comitato esecutivo di Information Safety and Freedom, postula uno dei possibili esiti dell’operazione Rising Lion, l’offensiva israeliana contro la Repubblica Islamica, cui si aggiunge il coinvolgimento diretto degli Usa attraverso i raid di B-2 che hanno sganciato, poco prima delle due del mattino – ora italiana – di domenica 22 giugno, 12 bombe “Bunker-Buster” contro i tre siti nucleari iraniani di Fordow, Natanz e Isfahan.

Rafat, attacchi Usa a tre siti militari e nucleari in Iran. Quali le possibili conseguenze?
«In questo momento, il coinvolgimento degli Stati Uniti potrebbe essere fatale, anche perché, mentre è poco probabile che le Forze Armate regolari – non i Pasdaran – collaboreranno con Israele, potrebbero tuttavia abbandonare l’attuale “neutralità” e schierarsi contro il regime se l’interlocutore fosse l’America».

L’Iran ha minacciato di prendere di mira le basi americane in Medio Oriente, a partire dall’Iraq. Potrebbe dare seguito alle sue esternazioni?
«Rappresenta una minaccia reale. Qui entrerebbero in gioco soprattutto le forze locali che, pur se indebolite dai recenti attacchi israeliani, hanno ancora la capacità di agire. Soprattutto in Iraq, dove non sono stati nemmeno colpiti dagli israeliani, anche se mantengono divisioni al loro interno: una parte di questi, infatti, vorrebbero distanziarsi da Teheran, mentre gli altri continuano a giurare piena fedeltà a Ali Khamenei e ai Pasdaran. Più che con missili, sono capaci di effettuare attacchi terroristici per mezzo di bombe e droni».

Decapitati i vertici dell’intelligence del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione. Potrebbe verificarsi un cambio di regime?
«Qui bisogna definire bene cosa si intende per cambio di regime. Se si vuole indicare l’arrivo al potere dell’attuale opposizione democratica, o parzialmente democratica, allora la risposta è negativa, in quanto essa non è capace di offrire un’alternativa accettabile, considerate anche le molteplici divisioni che negli ultimi tre anni hanno dominato la scena politica iraniana. Se, invece, per cambio di regime s’intende una nuova leadership che metta fuorigioco l’ayatollah Ali Khamenei e l’ala dura e intransigente del governo, questa, per quanto riguarda la fase attuale, potrebbe rappresentare una soluzione. Qui potrebbero giocare un ruolo importante le Forze Armate regolari, alcuni settori dell’economia e quello che rimane del movimento riformista. Loro potrebbero presentarsi come l’unico rimedio per porre fine a questa guerra e salvare la nazione. Questa soluzione – di cui da tempo si parla in Iran – e un’eventuale sconfitta militare potrebbero spianare la strada alla fine del conflitto».

Cosa potrebbe rappresentare un punto di svolta per Tel Aviv e Washington?
«Solo l’uccisione della Guida Suprema Ali Khamenei potrebbe provocare un tale caos da mettere definitivamente in ginocchio il regime».

Non manca la ritorsione di Teheran. Fino a che punto potrebbe spingersi?
«Teheran, pur se indebolita militarmente dall’attacco di Israele, non può permettersi il lusso di non rispondere. La Repubblica Islamica non è in grado di condurre un contro-attacco efficace, non possiede i mezzi e i suoi missili non sono precisi, ma, a lungo termine, il lancio dei missili iraniani, a un livello massiccio, potrebbe mettere in difficoltà la difesa anti missilistica israeliana».

Per Teheran, il percorso verso un programma nucleare civile rappresenta un diritto non negoziabile. È una condizione difficilmente superabile ai fini di un accordo?
«La Repubblica Islamica non ha mai pensato a un nucleare civile, anche se ne rivendica il diritto».

Qual è, quindi, il vero obiettivo di Teheran?
«Fin dall’inizio, l’obiettivo finale era quello militare, in quanto i dirigenti di Teheran considerano la bomba atomica un’assicurazione per la sopravvivenza del regime, similmente al caso della Corea del Nord, che recano in continuazione come modello».

Dopo il vertice di Ginevra fra Ue e Iran, ritiene possibile una ripresa dei negoziati sul nucleare, unica condizione posta da Israele per arrestare i raid?
«La Repubblica Islamica potrebbe tornare al tavolo di negoziati sul nucleare solo se cesseranno i bombardamenti israeliani. Ritornarvi con il Paese esposto agli attacchi israeliani, significherebbe resa totale, e, in tal caso, il regime perderebbe anche il sostegno dell’ala dura, cosa che Khamenei in questo momento non può permettersi».