L'intervista
Alberto Pagani: “Per la pace bisogna coinvolgere i Paesi arabi, solo loro posso mediare”
Il professor Alberto Pagani, oggi docente all’Università di Bologna, è advisor nel settore della sicurezza, ed è stato parlamentare dal 2013 al 2022, capogruppo in commissione Difesa, delegato nella NATO Parliamentary Assembly.
La pace nei territori palestinesi può davvero passare solo da un accordo bilaterale tra israeliani e palestinesi, o invece passa soprattutto da un nuovo equilibrio regionale tra Israele e i suoi vicini?
«Io credo che ora non si possa edificare la pace senza coinvolgere tutto il mondo arabo in questo difficilissimo processo di costruzione della fiducia. Dopo quel che è successo i palestinesi non si fidano degli israeliani e viceversa. Senza fiducia nessun accordo può stare in piedi, quindi serve una traslazione di fiducia, che solo i Paesi arabi possono mediare. Questa mediazione può muovere da un’iniziativa di Egitto o Giordania, ma richiede anche l’impegno dell’Arabia Saudita e delle altre monarchie del Golfo, per edificare la fiducia e la cornice condivisa di sicurezza necessarie per la stabilità, e quindi per la pace. In psicologia il transfert è uno strumento terapeutico che permette di comprendere ed elaborare i conflitti irrisolti e sviluppare nuove modalità di relazione. Il resto viene dopo».
L’Iran oggi è un attore indebolito sul piano interno ma sempre più aggressivo sul fronte esterno. Quanto è pericoloso un “animale ferito”, ma con proiezione militare accresciuta attraverso i suoi proxy?
«La leadership religiosa iraniana è passata in 12 giorni dalla tragedia alla farsa, e adesso è ridicola. Ieri faceva paura perché armava milizie e terroristi e soffocava con la forza le rivolte popolari interne, come il movimento “donna, vita e libertà”. Ora il regime iraniano è in una crisi nera, ma potrebbe cambiare prima per un golpe militare che per una rivoluzione popolare e democratica, perché le opposizioni sono ancora divise sulle soluzioni possibili dopo il collasso degli ayatollah».
Hamas è sotto pressione: le operazioni israeliane ne hanno decapitato la leadership militare e finanziaria. Ma Hezbollah al nord si muove sempre di più, e il Libano rischia di diventare il prossimo scenario aperto di guerra. Rimane una minaccia seria?
«A differenza del persiani, gli sciiti libanesi hanno ancora fiducia in Hezbollah, purtroppo. Il capolavoro dei pasdaran è stato conquistare i cuori e le menti dei libanesi sciiti, che si sentivano delusi ed oppressi, e far loro credere che Hezbollah fosse una loro espressione, e non una creatura costruita per usarli nella guerra per procura, per fare attentati, rapimenti, terrorismo. Certo che può essere ancora una minaccia, ma se viene meno il sostegno iraniano è una minaccia che perde forza».
I recenti bombardamenti su Damasco colpiscono direttamente il cuore operativo di Al Jolani, ex leader di Al Qaeda in Siria, oggi al potere in forme nuove. Israele ha un obiettivo strategico o è un conflitto su più fronti che rischia di sfuggire al controllo?
«La precipitosa fuga di Bashar Al Assad ed il cambio di regime pilotato dai turchi non ha pacificato la Siria, e non tutte le milizie hanno accettato la riunificazione sotto l’autorità di Al-Jolani, benché sia probabile che la sua avanzata avesse un tacito nulla osta di americani ed israeliani. Tuttavia, la Siria è complicata, multietnica e basata ancora sull’antica struttura sociale tribale. Gli scontri tra beduini sunniti e drusi sciiti sono scaturiti dal rapimento di un ambulante, ma le forze militari governative, in appoggio ai beduini, hanno occupato la roccaforte drusa. Gli attacchi aerei israeliani sono avvenuti a sostegno della comunità drusa siriana, anche se ufficialmente l’intenzione di Tel Aviv sarebbe scongiurare l’assembramento di forze ostili vicino al confine. In realtà la comunità dei Drusi è molto presente in Israele e nelle forze armate dello stato ebraico, ed è questa la vera ragione della protezione dei Drusi siriani».
In Europa cresce una retorica ostile a Israele: boicottaggi accademici, accuse di genocidio, tentativi di sabotare la cooperazione scientifica e militare tra UE e Israele…
«Trovo avvilente questo arretramento politico e culturale, soprattutto quando coinvolge le Università, che deve stimolare e favorire il confronto, lo scambio e la conoscenza. Credo che il boicottaggio accademico e della cooperazione scientifica con le istituzioni culturali israeliane sia un errore che ci riporta indietro nel tempo ed alimento gli antichi pregiudizi antisemiti che l’Europa conosce da secoli, che hanno generato l’odio razziale e sono approdati all’Olocausto. Io non amo il Governo Israeliano, che giudico pessimo, come non amo il Presidente americano, ma non perdo di vista la differenza tra le democrazie e le dittature, e penso che si possa contestarne la politica senza compromettere la cooperazione tra Paesi Democratici. Che poi il boicottaggio di Israele sia propugnato da chi sostiene la ripresa dei rapporti commerciali con la Russia o con l’Iran mi fa pensare male».
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