Alla Campania non basta solo l’export, serve una politica industriale

«Il pil della Campania crollerà leggermente meno di quello nazionale, ma la nostra regione sconta anni di inefficienze. Il gap tra Nord e Sud? Il Nord ha bisogno del Sud, ma bisogna potenziare infrastrutture e digitale o resterà sempre un passo indietro». Salvatore Capasso, professore di Politica economica dell’università Parthenope, commenta il dossier della Banca d’Italia sull’economia regionale. Dall’indagine condotta dagli esperti sulla Campania è emerso che la nostra regione ha subito un crollo del pil pari all’8% nel primo semestre dell’anno, di poco inferiore alla diminuzione di quello nazionale che è del 10% circa.

Sembra che la Campania stia rispondendo alla crisi meglio del resto del Paese, dunque, grazie all’export dell’industria agricola, farmaceutica e agroalimentare che ha registrato dati positivi e in continua crescita. Questo vantaggio, però, rischia di essere un buco nell’acqua se si considerano i ritardi e gli errori che pesano sulla Regione. «Il nostro Paese – spiega Capasso – ha un’economia che ristagna da almeno due decenni, con tassi di crescita del pil (sia in assoluto che pro-capite) tra gli ultimi al mondo (dietro di noi il Botswana, Haiti e pochi altri)». In questo quadro l’economia del Mezzogiorno e quella della Campania non si discostano molto dai dati nazionali.

«Questo significa che il calo non giunge dopo un periodo di forte crescita ed è per questo ancora più doloroso per il sistema – sottolinea Capasso – Inoltre, anche un eventuale rimbalzo, su cui altre aree e Paesi sperano, porterà allo stesso sentiero di stagnazione». Ma perchè l’economia italiana e quella campana inseguono gli standard degli altri Paesi senza raggiungerli?. «Il problema della mancata crescita del nostro Paese, del Mezzogiorno e della Campania – aggiunge Capasso – è da attribuire ai cambiamenti strutturali che hanno caratterizzato i mercati internazionali negli ultimi anni: mercati sempre più integrati e sistemi di produzione tecnologicamente sempre più avanzati hanno ridotto la competitività relativa delle nostre imprese». Poi ci sono i problemi che da sempre attanagliano la nostra Regione.

«A questo si aggiunga la carenza di infrastrutture di trasporto e digitali, una eccessiva burocratizzazione, una giustizia farraginosa e un mercato del credito non all’altezza di finanziare investimenti in tecnologie avanzate», afferma Capasso. Negli ultimi anni questo gap è cresciuto ancor di più per l’accelerazione nello sviluppo delle tecnologie digitali (si pensi al 5G). In questo senso, il Covid-19 ha spinto questa transizione e rischia di non essere un’opportunità, ma la causa di ulteriore ritardo del Meridione. «Il Nord ha bisogno del Mezzogiorno – afferma Capasso – e insieme hanno bisogno di una nuova politica industriale che miri a coprire il gap infrastrutturale (digitale, logistica, istituzionale) con le economie più avanzate».

Ma la Campania che strategia deve mettere in campo? «Innanzitutto bisognerà sfruttare bene l’occasione del Recovery Plan – risponde il professore – ma l’Italia non ha ancora dato indicazioni di massima. Questo sottolinea l’assenza di idee e di capacità di scegliere tra le priorità. Del resto, esiste un lungo elenco di opere incompiute che dovrebbero essere portate a termine». Il Meridione è pieno di progetti che sono stati approvati e mai realizzati, ma ora non è il momento di ripetere gli errori del passato bensì di sviluppare una progettualità chiara e investire consapevolmente.

«È essenziale puntare sulle infrastrutture logistiche e di trasporto. La contiguità territoriale è fondamentale per la diffusione delle tecnologie e per lo sviluppo dei commerci. La Napoli-Bari, per esempio, potrebbe aprire nuove opportunità con l’Est al pari di una rete autostradale più fitta (incluso il possibile ponte sullo stretto) – dice Capasso – È altrettanto importante investire sulle tecnologie digitali. È su queste ultime che si gioca la partita del futuro». Dunque, i finanziamenti ai vari settori produttivi dovranno essere radicalmente ripensati. «Un altro settore che negli ultimi anni è stato completamente dimenticato è l’istruzione. Il Paese ha bisogno di lavoro qualificato e di cittadini consapevoli – conclude Capasso – È facile tagliare i fondi a un settore nel quale gli impatti si vedono nel lungo periodo, ma è assolutamente sbagliato».