Il vero protagonista è lui, Danilo Iaquinta, cantante di strada con voce tenorile che ne giorni di festa si mette tra il Duomo e la galleria, con microfono e amplificatore, raccogliendo intorno a sé una folla, tra turisti e passanti. Tra mezzora arriverà in Piazza del Duomo il corteo che celebra il 25 aprile, ma questo è il suo territorio e non c’è Liberazione che tenga. Sul lato di fronte, intanto, si è riunita una concorrenza canora particolare. Sono le organizzazioni di ultrasinistra, i gruppi studenteschi filo palestinesi. Gente che fa politica, ma oggi armati di megafoni fanno anche concorrenza a Danilo.
Parte una ragazza che cammina freneticamente avanti e indietro, urlando al microfono che loro non possono stare in piazza con chi arma lo Stato genocida di Israele, e intona lo slogan in rima “contro il sionismo e la sua violenza, ora e sempre resistenza”. Lei e gli altri, tutti in coro. Dall’altra parte Danilo capisce che la giornata richiede un repertorio diverso dal solito. Fino a quel momento aveva intonato da Azzurro a Sarà perché ti amo, ma con un guizzo artistico supera a sinistra i manifestanti e parte con una versione a cappella di Bella Ciao, sotto la quale fa partire una base reggae che fa ondeggiare la folla.
I super sinistri non ci stanno e, facendo questa volta ricorso alle voci maschile, attaccano con “il 25 aprile non è una ricorrenza, ora e sempre resistenza”. Ed ecco che Danilo si erge a più politico di tutti i politici, da più resistente di tutti i resistenti e parte con “L’italiano”, di Toto Cutugno.
Mica robetta, qui si agitano le folle, nel nome della libertà. Quasi quanto a qualche centinaio di metri, dove si sta raccogliendo il corteo. In testa c’è la Brigata ebraica, che raccoglie dietro allo striscione la politica che non ha ammiccato ai pacifismi, che non ha bollito la storia nel minestrone dei distinguo. Quella che sta con Israele e con l’Ucraina. Ai lati di Corso Venezia hanno cominciato, però, ad infilarsi gruppi di filopalestinesi e filo pacifisti della più varia specie. Qui non soffrono la superiorità canora di Danilo e ne approfittano. E vai di cori contro i sionisti e il loro presunti fiancheggiatori. Vorrebbero la Brigata Ebraica fuori del corteo.
Dietro lo striscione resiste nella sua imperturbabile pacatezza un Benedetto della Vedova forse un po’ provato dall’impresa degli Stati uniti d’Europa. Dice che gli dispiace che “ci sia chi non fa distinzione tra un paese e il suo Governo, così come non si vuole fare distinzione tra Hamas e gli interessi della Palestra. È giusto essere con la brigata Ebraica, perché è stata partecipe della Liberazione”.
Hai voglia essere moderato, oggi è più faticoso che cantare in piazza i Ricchi e Poveri. A qualche metro una signora che orna la sua eleganza con una kefiah, urla improperi e se la prende perfino con il buon Mario Furlan che con i suoi City Angels sta collaborando al servizio d’ordine: “Cane da guardia degli assassini!”. In gioventù qualche manifestazione deve averla fatta, perché come da perfetto manuale del piccolo contestatore, si butta addosso a Furlan e gli urla di non toccarla.
Insomma un gran casino nel quale della ricorrenza della liberazione finisce per non curarsi quasi nessuno. Raffaella Paita, coordinatrice nazionale di Italia Viva ostenta calma: “ È bellissimo vedere questo corteo pieno di partecipazione di passione. Peccato per questi fischi, questi toni inaccettabili e così distanti dallo spirito di questa manifestazione”.
Mentre lo dice le passa accanto un gruppetto di signore: “Che dici, ci mettiamo in corteo anche noi?” dice una, “Ma sì dai, è carino questo corteo – le risponde l’amica – Però non qui, che mi sa che c’è Renzi…”.
Il corteo parte, destinato a rimanere un gran pasticcio di bandiere e urla. E tra chi guarda dal marciapiede si levano analisi storico-politiche di livello. Due ragazzi intraprendono un confronto su Dossetti che “era liberale, ma aveva l’anima di sinistra”.
Gli infiltrati contestatori sembrano rispondere a tanta analisi, abbandonando definitivamente qualsiasi minimo accenno di politichese e parte il coro di “Assassini, assassini”. Non resta che elevarsi, per distinguersi. Tra un gruppo di signori che stanno dentro il corteo ma cercano di evitare bandiere e striscioni, si ingaggia una discussione su “l’eterno conflitto tra sunniti e sciiti, che poi è da lì che tutto discende”.
Una signora si incavola tantissimo al telefono, perché il marito – che dovrebbe raggiungerla in manifestazione – ha confuso il luogo dell’appuntamento. La sta aspettando davanti a Luis Vuitton, invece che Dolce e Gabbana.
Poco male, il corteo finalmente si muove più velocemente e va verso Piazza del Duomo. Li ci sono gli Umanisti Socialisti che vendono il loro giornale che titola “Sempre e comunque pacificazione”. Ma c’è anche il nostro Danilo Iaquinta, incazzatissimo perché gli hanno intimato di smetterla di cantare canzoni allegre, che oggi è giornata di celebrazioni serie e si parla di Palestina. Pure lui pensava che l’argomento fosse la Liberazione.
E poi sul palco c’è Pif, che ricorda a tutti che se si può non dire di essere antifascisti è perché c’è la democrazia. A cinquecento metri in linea d’aria c’è Matteo Salvini che sta presentando il suo libro. Altrove, alla sede dell’Unione Cechi. Scritto così, sulle locandine, senza la I. Dalla Milano della Liberazione è tutto.
