Anche de Magistris con le dimissioni della de Majo ha il suo ‘caso Zingaretti’

Cos’hanno in comune Eleonora de Majo e Nicola Zingaretti? Apparentemente nulla. Lei 33enne, lui classe 1965. Lei alla prima esperienza in politica, lui con un passato da eurodeputato, presidente della Provincia di Roma e governatore del Lazio. Lei espressione della galassia dei centri sociali napoletani, lui riferimento del partito guida del centrosinistra italiano. Eppure de Majo e Zingaretti qualcosa in comune ce l’hanno ed è il fatto di essersi dimessi dalle rispettive cariche, così rendendo evidente la crisi che attraversa rispettivamente Dema e il Partito democratico.

Alla nascita del governo Draghi, molti ritenevano che la polemica sull’assenza di donne tra i ministri in quota Pd rientrasse nella fisiologica dialettica tra le correnti del partito. Pochi avevano compreso quale grave crisi percorresse il Pd, ormai privo di un programma univoco e in costante calo di consenso. A rendere tutto più evidente sono state le dimissioni di Zingaretti dalla carica di segretario. Stesso discorso per de Majo. Nel 2019, per farle posto nella giunta comunale di Napoli, il sindaco Luigi de Magistris non aveva esitato a sacrificare un amministratore esperto come Nino Daniele. La 33enne esponente del centro sociale Insurgencia doveva rappresentare il propellente indispensabile per consentire all’amministrazione arancione di risalire la china dopo anni caratterizzati da risultati tutt’altro che brillanti.

Alla fine, invece, de Majo ha semplicemente “spento il motore dell’amministrazione” facendo sapere di non riconoscersi più nel progetto politico-amministrativo di de Magistris e puntando il dito contro la candidatura a sindaco di Alessandra Clemente, definita come «calata dall’alto e senza confronto con la città». Poi la ciliegina sulla torta: per l’ormai ex assessora al Turismo l’amministrazione arancione è «sempre più distante dalla città reale e dai suoi problemi». Se il disavanzo di due miliardi e 700 milioni e la pessima qualità dei servizi rappresentano il fallimento del progetto amministrativo di de Magistris, la parole e le dimissioni della de Majo segnano la fine di quell’esperienza anche sotto il profilo politico.

La retorica dell’amministrazione vicina alla gente, della classe dirigente lontana dalle liturgie della politica, della partecipazione popolare e delle scelte condivise si schianta contro la dura presa di posizione della rappresentante di quel mondo dei collettivi che più di ogni altro ha creduto nella rivoluzione arancione. A tutto ciò de Magistris reagisce accettando «le assenze di gratitudine» di giovani come de Majo e facendo trapelare il sospetto che l’ex assessora, chiacchierata per i suoi rapporti con gli ultrà, sia coinvolta in vicende poco chiare: «Mi auguro che non sia venuto meno il vincolo di onestà, lealtà e trasparenza amministrativa». Evidente la contraddizione: se de Magistris nutriva quelle perplessità, perché non ha allontanato de Majo? Probabilmente non lo sapremo mai. Di certo c’è una cosa: a Napoli, che affronta una delle fasi più difficili della sua storia con una Giunta e un Consiglio paralizzati, restano solo le macerie.