Assad alla corte di Xi. La Cina guarda verso ovest e cerca la svolta sulle rotte commerciali

Quasi venti anni dopo l’ultima visita, il leader siriano Bashar al Assad è tornato in Cina. Venti anni che hanno cambiato radicalmente lo scenario internazionale e che hanno stravolto anche le due nazioni. La Siria ha vissuto una guerra che ha devastato il Paese, sconvolta dalle atrocità dello Stato islamico, dalla guerra tra ribelli e regime, dalla proxy war tra forze esterne, e dagli interventi diretti di altre potenze. La Cina – che nel 2004 bussava alle porte dei grandi – ora è a tutti gli effetti un protagonista della scena globale, unica superpotenza ad avere eroso la sfera di influenza degli Stati Uniti e che prova con Xi Jinping a consolidare una nuova rete di alleanze capace addirittura di immaginare una nuova globalizzazione. Due Stati che vivono quindi due condizioni completamente diverse ma che da decenni condividono un complesso intreccio di interessi convergenti.

Assad, sopravvissuto alla guerra grazie all’intervento di Iran e Russia, cerca faticosamente di tornare sulla scena diplomatica e ha assoluto bisogno di investimenti per ricostruire la Siria. Non può rivolgersi a occidente, dato che Europa e Usa hanno ripetutamente condannato il suo regime, ma sa che può rivolgersi a oriente, sia a quello “Medio”, con cui sta realizzando un graduale disgelo, sia a quello “Estremo”, in particolare a Pechino, che non ha mai voltato le spalle a Damasco. Allo stesso tempo Xi ha interesse a mostrare vicinanza alla causa di Assad, e questo per una strategia molto più ampia della semplice realtà siriana. La Repubblica popolare guarda verso ovest e non è un mistero che il Medio Oriente rappresenti un passaggio indispensabile affinché le sue rotte commerciali – e con esse i suoi partenariati politici – giungano fino all’Europa. Nel corso degli anni la Cina ha blindato i rapporti con l’Iran realizzando con esso una serie di accordi su vasta scala che coinvolgono diversi settori economici e strategici. Inoltre Xi ha stretto legami sempre più solidi con le monarchie arabe, in primis con l’Arabia Saudita (che ha normalizzato i rapporti con l’Iran proprio con la benedizione di Pechino) e gli Emirati Arabi Uniti, ora entrambi nuovi membri dei Brics. Le direttrici della Via della Seta non hanno dimenticato nemmeno la Giordania, così come hanno ripreso a percorrere le strade dell’Iraq e della Turchia.

E se con Israele il partenariato è sempre più forte pur con i caveat degli Stati Uniti per le loro infrastrutture militari troppo vicine alle aree attenzionate dalle aziende cinesi, Pechino ha anche fatto capire di non avere remore a dialogare con l’Autorità nazionale palestinese. L’obiettivo di Xi, del resto, è quello di avere un Medio Oriente stabile, alleato e possibilmente in grado di garantire rotte sicure a merci e capitali cinesi. E ora nel mosaico regionale, finché il Libano resta sull’orlo dell’abisso, per Pechino è tempo di blindare i rapporti con la Siria. Rapporti che permettono alla Cina non soltanto di sfruttare lo strano equilibrio di Russia, Iran, Israele e Coalizione occidentale (quella anti Daesh), ma anche di raggiungere il Mediterraneo.

I rapporti fra Pechino e Damasco, ha detto Xi, “hanno resistito alla prova dei cambiamenti internazionali” e “l’amicizia tra i due Paesi si è rafforzata nel tempo”. Assad, dal canto suo, ha detto di sostenere il ruolo della Cina come potenza globale e che “oggi si sta formando un mondo multipolare che ripristinerà l’equilibrio e la stabilità nel mondo”. Ma ciò che preme a Pechino, più che la vicinanza politica di Assad, è la “partnership strategica” annunciata dal leader del Partito comunista. Una svolta che conferma come Damasco sia ormai pienamente inserita dentro l’agenda cinese. Ma che certifica anche la scelta di Xi di non avere più remore a incontrare i leader considerati nemici dall’Occidente. Dopo il venezuelano Nicolas Maduro, adesso è il turno di Assad. Segno che per la Cina c’è interesse a parlare con chiunque ma anche a ergersi a guida di tutto il mondo esterno all’Occidente.