Bernie Sanders si ritira, tramonta il sogno socialista americano

Per amore del paradosso e della simmetria, in fondo ci speravamo: che nascesse l’Ussa, Unione degli Stati Socialisti Americani, contrapposti alla Federazione Capitalista Russa, una nuova guerra fredda già pronta, a ruoli invertiti. Invece, niente. Non si farà più, perché Bernie Sanders, il candidato apertamente socialista con ampie nostalgie per il mondo sovietico e castrista ha gettato la spugna, ritirandosi dalla competizione per le elezioni presidenziali di novembre, annunciando di concedere i suoi trecento delegati al quieto e istituzionale Joe Biden, ex vice di Obama sostenuto dal clan dei clintoniani.

Il paradosso, sarebbe stato quello di vedere correre per la Casa Bianca non già un semplice candidato un po’ più a sinistra degli altri, ma proprio un socialista in un Paese in cui quell’aggettivo è ancora una parolaccia. Sanders ha 78 anni e al prossimo turno non potrà più correre per motivi d’età e dunque Trump dovrà vedersela proprio con lo stesso Biden per cui ha subito un processo di impeachment, avendo provato in tutti i modi a far uscire prove delle ipotizzate malefatte affaristiche in Ucraina del suo avversario. Bernie Sanders, che era partito a razzo nello sbalordimento generale – si era fatto strada anche il giovane Buttigieg, buono per la prossima corsa – si è poi afflosciato. Perché?

Perché lo hanno mollato le due forze su cui contava: gli afroamericani che hanno seguitato a votare Biden alle primarie e i giovanissimi, su cui il vecchio leone contava per un patto generazionale. Il Covid 19 ha fatto il resto e l’anziano rivoluzionario ha visto che non c’era più carne da mettere al fuoco e ha mollato. Molti si chiedono quanto questo elegante e vecchio ebreo sia di sinistra. Nei programmi era soltanto molto socialdemocratico, di stampo nord-europeo: sanità gratuita per tutti, diritti civili per tutti, grandi programmi di riforma sociale.

Ma intorno a lui si erano radunati dei veri rivoluzionari di cui il più in vista, Kyle Jurek, lo ha messo più volte in imbarazzo per i fuori onda in cui diceva che una volta preso il potere sarà necessario fucilare un po’ di gente come fece Fidel e che occorrerebbe aprire dei Gulag americani come campi di rieducazione, sostenendo che la Cia avesse riscritto la storia della Rivoluzione sovietica. Queste sparate diventate virali su YouTube e non hanno fatto bene a Sanders. Che ha cercato di tenere a bada il suo gruppo di teste calde secondo cui se Trump venisse rieletto si dovrebbero mettere a fuoco le città. Trump non è stato contento della sconfitta di Bernie e, dando prova della solita sfacciataggine, ha invitato l’elettorato della sinistra orfana a votare per lui. Trump ovviamente non si sente più sulla cresta dell’onda dopo il disastro dell’epidemia che aveva imprudentemente negato. E se la disoccupazione tornerà ai livelli del 2008 per lui sarà la fine.

Ma la parabola Sanders riapre la questione: quanto a sinistra può spingersi la sinistra americana? E poi: che genere di sinistra è? Oltre un secolo fa gli Stati Uniti, e New York in particolare, erano pieni di movimenti anarchici e socialisti, poi di comunisti romantici e di rivoluzionari detestati dall’establishment. Gli anarchici italiani Sacco e Vanzetti finirono sulla sedia elettrica vent’anni prima di Julius e Ethel Rosenberg in piena Guerra fredda, accusati di essere spie sovietiche e di aver dato ai russi l’accesso ai segreti atomici. I due erano effettivamente comunisti iscritti al partito comunista americano (Communist Party Usa) che era una organizzazione totalmente filosovietica e talmente chiusa da opporsi alle novità introdotte da Michail Gorbaciov – glasnost e perestrojka – il quale fece tagliare i fondi di mantenimento costringendo il partito alla chiusura e alla clandestinità.

Ma il partito comunista americano era stato molto potente nei sindacati e presso gli intellettuali e aveva eseguito con estrema diligenza le direttive di Mosca durante l’alleanza nazi-sovietica del 1939-41, opponendosi con scioperi e manifestazioni al vagheggiato intervento americano al fianco della Gran Bretagna, disperatamente richiesto da Churchill. Franklin Delano Roosevelt malgrado le promesse non dichiarò mai guerra alla Germania e fu Hitler a dichiarare guerra agli Stati Uniti, con grande sdegno degli inglesi. E dopo la guerra ci fu il “maccartismo”, cioè la famosa “caccia alle streghe” come la chiamò il commediografo Arthur Miller (secondo marito di Marilyn Monroe la quale diventò poi l’amante di John Fitzgerald Kennedy), lanciata dal senatore Joseph McCarthy per stroncare le “attività antiamericane”.

Una caccia cominciata a partire dagli intellettuali che tenevano in vita la produzione cinematografica di Hollywood e che avevano in gran maggioranza sentimenti fortemente simpatizzanti per il comunismo sovietico e che avevano fatto la loro parte durante il conflitto contro la Germania nazista. L’opinione pubblica americana, appena uscita dalla tremenda depressione iniziata alla fine del 1929 che gettò milioni di americani nella miseria, era stata totalmente ostile all’entrata in guerra contro la Germania nazista, ricordando il costo dell’intervento in Europa nel 1918 (durante il quale i soldati americani del Kansas portarono inconsapevolmente il virus dell’influenza poi detta “Spagnola” che causò fra i 50 e i 100 milioni di morti).

Le minoranze americane di origine tedesca erano filonaziste come quelle italiane erano filofasciste, ma l’attacco giapponese di Pearl Harbor nel dicembre del 1941 schierò di nuovo il patriottismo americano a fianco del Presidente. Le sinistre americane furono entusiaste di fare la loro parte quando l’Unione Sovietica fu invasa da Hitler nel giugno del 1941, ma l’inizio della Guerra Fredda con il discorso di Winston Churchill a Fulton negli Stati Uniti, quello in cui fu varata l’espressione “iron courtain”, la cortina di ferro, spaccò il Paese. Il servizio segreto Oss, pieno di agenti reclutati in campo repubblicano nella Lincoln Brigade durante la guerra civile spagnola, tutti molto vicini alle posizioni comuniste, fu chiuso dal presidente Truman che inaugurò nel 1947 la Cia, organizzata per combattere i comunisti esterni, mentre l’Fbi di J. Edgar Hoover si dava alla caccia dei comunisti interni.

Chi ha visto la stupenda serie The Americans (vincitrice assoluta di Emmy Awards) ha un’idea di come funzionavano in Usa le reti sovietiche e con quale potente appoggio interno. L’arrivo di JFK alla Casa Bianca, figlio di un ambasciatore americano irlandese che si era arricchito con il contrabbando di whisky, dette al mondo la sensazione del tutto nuova di una sinistra elegante, riformista e potente, che però fu costretta ad affrontare la crisi dei missili cubani che portò il mondo sul ciglio della catastrofe nucleare e poi all’assassinio dello stesso John Kennedy a Dallas, che diventò il giallo del secolo.

Robert “Bob” Kennedy, fratello del presidente ucciso e suo ministro della Giustizia come General Attorney (e che su preghiera del padre aveva allentato la presa sulla mafia guidata da Sam Giancana affinché questi portasse a John i voti del sindacato, e con cui divideva il letto di Marilyn insieme al fratello) fu subito il nuovo divo delle sinistre americane e mondiali. Nel frattempo, il presidente Johnson, succeduto a John come suo vice, si era impantanato nella guerra del Vietnam iniziata proprio da John, ma aveva compiuto la grande operazione della restituzione dei diritti civili alle minoranze nere del Sud. Bob era il darling mondiale della speranza di pace negli Stati Uniti, ma fece la stessa fine del fratello, ucciso a revolverate il 6 giugno del ’68 durante un comizio.

Oggi si è persa la memoria di che cosa fosse e quanto dividesse l’intero mondo la guerra del Vietnam, che sarebbe stata chiusa dal detestato Richard Nixon, il presidente repubblicano costretto alle dimissioni per lo scandalo Watergate. L’Europa, la sinistra italiana e in particolare Walter Veltroni che giocò la carta del “Kennedy italiano”, aveva puntato tutte le fiches sul riformismo kennediano e per un lungo periodo l’immagine dei due fratelli assassinati fu collegata con quella dei due Gracchi nella storia romana.

Fu poi la volta dell’eroe di guerra e storico accademico George McGovern (pilota di bombardieri B-24 Liberator sulla Germania) che prese il posto dell’assassinato Bob Kennedy nel 1968 e poi combatté contro Nixon perdendo, poi in Senato fu il campione della nuova politica “Food for Peace”, cibo per la pace, sempre perdendo e sempre frustrando lo spirito delle sinistre riformiste europee rimaste senza eroi di riferimento e che attingevano ormai a piene mani dalla caotica ma generosa fucina americana. Ma la fucina americana non fu in grado di sfornare nulla sia pur vagamente “di sinistra” fino all’arrivo della coppia formata da Bill e Hillary Clinton, entrambi provenienti dal più sperduto e depresso angolo degli Stati Uniti: Little Rock, Arkansas (da pronunciare rigorosamente Arkansò) dove formarono un team familiare e politico.

Quando andai a Little Rock per la prima elezione di Bill, conobbi sua madre, una sciroccata sciampista dai capelli color vinaccia che mi tirò per la giacca e mi chiese in gran segreto: «Ma è sicuro che il mio Bill ce la può fare? Ma è vero che è diventato such a big shot, un vero pezzo grosso?». Confermai con spudorata sicurezza e poi ballammo tutti insieme con Bill, Hillary, Al Gore che sarebbe diventato vicepresidente e sua moglie Tippy che era un bel peperino. Bill fece molti casini: mentì davanti al popolo americano negando i pompini di Monica Lewinsky facendosi incriminare per spergiuro e poi bombardò la Serbia facendosi prestare dall’Italia governata da Massimo D’Alema le basi aeree. No bueno, come sinistra.

Però i due erano glamour, carini con tutti, tanto con D’Alema quanto con Berlusconi. Se non ricordiamo male, non c’è gran che d’altro nella sinistra americana recente. E di sicuro nessuno dei suoi epigoni si era dichiarato socialista o marxista. Ammiratore dichiarato del regime dei Castro. O con qualche nostalgia per la Repubblica dei Soviet che in fondo non era così male. Era nata una nuova generazione, i Millennial, i nipoti dei baby boomers (i pupi nati dopo il ritorno dei soldati della Seconda Guerra Mondiale) che non sanno niente del Sessantotto, sono indifferenti ai Kennedy e alle loro bravate o bravure, tutti impegnati nella nuova ideologia ecologica e del riscaldamento globale.

Tutta un’altra storia. E forse Bernie ha fallito proprio perché non ha saputo fino in fondo diventare protagonista dell’altra storia, quella dei nuovi americani senza un genere predefinito, senza un colore di pelle predefinito, di orientamenti fluidi e nuovi, gente che vive su un nuovo pianeta e che cerca un altro tipo di leadership. Bernie è stato generoso e ha dato tutto se stesso con due campagne entusiasmanti: nella prima si era battuto come un leone contro la nomination di Hillary Clinton che odia a morte.

Fallì allora e ha fallito la sua ultima battaglia, ma ha vinto l’Oscar alla carriera e quello per la novità, di una rivoluzione socialista nella patria del capitalismo e dello stock exchange, persa mentre un virus attacca più efficacemente di lui, più di quanto posa fare Biden, lo zazzeruto presidente Trump. L’America è così un nuovo uovo di Pasqua dalla sorpresa a sorpresa.