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Delega fiscale al Governo: rischi del ballo delle incertezze

Giurista, saggista, opinionista
Delega fiscale al Governo: rischi del ballo delle incertezze

Addì 15 marzo dell’anno 2023 (così si usava in passato) il Governo ha comunicato l’avvenuta conclusione degli incontri con le Associazioni di categoria e degli Ordini professionali circa il Disegno di legge “Delega fiscale al Governo” che da domani inizierà l’iter approvativo.

Dal comunicato ufficiale sul sito dell’esecutivo, Palazzo Chigi ha dato atto del parere positivo da chi ha ascoltato in sede.

Andando oltre il parere positivo e la buona volontà delle parti che sostanzialmente delinea l’orizzonte comune, c’è di fondo che la bozza del Ddl in questione ha mostrato sin da subito diversi profili d’incertezza e forse qualche profilo d’incostituzionalità.

Sei cose (su tutte) sono davvero discutibili sia sul piano giuridico che politico tenendo conto che l’azione normativa non può abbassare i livelli di garanzia né interni né europei (ad esempio la Riforma Bonafede sul sistema penale era stata partorita in contrasto con la direttiva n. 343/2016 che prevedeva il “principio di non regressione”; da qui l’intervento della Riforma Cartabia sulla prescrizione trasformata in improcedibilità).

PUNTO UNO: l’art. 19 della bozza prevede l’abrogazione della mediazione tributaria dopo il ricorso. Perché abrogare uno degli istituti deflattivi del contenzioso senza spiegare quale sarebbe il contraltare utile per il cittadino e per la parte pubblica? Probabile che chi guida il MEF stia pensando a qualcosa di compensativo, ma sta di fatto che la mediazione tributaria (benché le percentuali siano di sconforto) è un istituto imprescindibile nella logica di calmierare le iscrizioni a ruolo dei giudizi tributari: forse la chiave di svolta potrebbe essere condannare chi sbaglia nella pubblica amministrazione atteso che difficilmente (e i dati confermano il deserto condannatorio) il funzionario o il dirigente maldestro paga di tasca propria dinanzi alla colpa di aver sbagliato atti, procedimenti, calcoli e/o quant’altro.

Qui c’è un problema di ingranaggio sottile: se vince il cittadino significa che qualcuno della parte pubblica ha sbagliato. Se tanto ci dà tanto la traduzione è in questi termini ovverosia che il giudice tributario non può dipendere dal Ministero dell’economia così come la controparte naturale del contribuente che è l’Agenzia delle Entrate, della Riscossione, ecc. (con l’effetto di conservare ingiustamente una performance del funzionario/dirigente di turno che, di contro, porta all’impoverimento del contribuente e, talvolta, alla sua morte fiscale).

Cosa, quest’ultima, a cui ha fatto richiamo il Presidente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria Antonio Leone con il suo intervento durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario proprio oggi 15 marzo 2023 (Radio Radicale ne ha mandato in onda la cerimonia integrale): “apparente non indipendenza” dei giudici tributari in quanto in capo al MEF si sente al minuto 17 circa ed è la fraseologia usata per chiarire la dimensione del problema.

PUNTO DUE: l’art. 18, invece, annuncia il progressivo superamento del ruolo e delle cartelle. Peccato che in base al D.L. 78/2010 (artt. 29 e 30) ed alla legge di bilancio 160/2019 (art. 1, comma 792), le cartelle sono state superate già da anni per IVA, IRPEF, IRES, IRAP, INPS e pretese degli enti locali. Ma ciò non significa che sia una cosa buona perché la valutazione politica è cosa diversa da quella giuridica in termini d’interesse per la velocizzazione del recupero erariale. Ciò per due motivi almeno:

  • il primo è che chi è moroso (e non evasore in senso stretto) dopo sessanta giorni dalla notifica di un avviso di accertamento concentrato (proprio perché le cartelle non esistono più e quelle che ci sono in giro sono illegittime in virtù delle norme succitate e per le materie ivi disciplinate) finisce per subire pignoramenti, blocchi di veicoli personali o aziendali, probabile istanza di fallimento, ecc. (il moroso non ha liquidità sufficiente a coprire il debito erariale, quindi, bloccarlo senza cuscinetti di difesa concreti e/o di pagamento proporzionale allo stato di indigenza sopravvenuta porta alla sua incapacità contributiva cronica e, di contro, a scritture contabili pubbliche che aumentano il monte dei soldi non riscossi per lo Stato e via dicendo);
  • il secondo è che abolire il sistema di riscossione per ruolo e successivo affidamento in carico al soggetto esattore sarebbe sostenibile solo laddove vi sia virtuosità tale per cui tutti i contribuenti riescano pagare contestualmente le tasse ovvero saldarle all’acquisto (principio per cui “se incasso oggi, pago oggi” e non tra due anni).

PUNTO TRE: l’art. 4 prevede che l’interpello sia subordinato al pagamento di un contributo. Per chi non lo sapesse, l’interpello è previsto dallo Statuto del Contribuente (art. 11): è una richiesta all’amministrazione per ottenere, ad esempio, una risposta riguardante l’applicazione di disposizioni tributarie quando vi è incertezza. È una norma posta a presidio del rapporto di lealtà e bontà tra cittadino e parte pubblica tanto che la legge 212/2000 (appunto Statuto del Contribuente) precisa che si tratta di una disposizione che ha lo scopo di contrastare comportamenti elusivi in una dimensione di compartecipazione del contribuente alla perfetta attuazione delle regole (quindi per evitare di sbagliare).

La domanda nasce spontanea: chiedere al cittadino di pagare per una informazione che l’amministrazione è tenuta a dare per sua stessa esistenza (se no lo Stato che senso ha?) nonché per qualcosa che la politica ha partorito male (cioè la norma incerta), è una misura che può esser percepita male tanto da minare il rapporto di fiducia come vuole l’art. 54 della Costituzione?

PUNTO QUATTRO: tornando all’art. 18, si prevede anche l’automazione dei pignoramenti esattoriali. Chi opera nel mondo tributario esattoriale (specie i difensori dei contribuenti) è da anni che ha per le mani atti emessi automaticamente e da sistemi meccanizzati così come accade per le notifiche massive tramite pec.

Privare di intercessione umana la pratica amministrativo-tributaria fa pensare a due cose:

  • la prima è che non serviranno più tutti gli impiegati dell’amministrazione erariale che ci sono oggi;
  • la seconda è che l’automazione può far bene, ma può far malissimo in termini di responsabilità soggettiva del funzionario e/o del dirigente di turno davanti all’illegittimità di un atto (perché si disconoscerà la volontà umana di fare o non fare una cosa posto che gli atti amministrativi godono ormai della c.d. “sostituzione del nominativo a stampa” escludendo la sottoscrizione in originale).

Di quale parità ed uguaglianza tra cittadino e pubblica amministrazione stiamo parlando allora?

PUNTO CINQUE: tornando all’art. 19, si prevede “l’obbligo di utilizzo di modelli predefiniti per la redazione di atti processuali”. Niente di più fraintendibile sul piano politico-costituzionale dal momento che:

  • un conto è dire che le difese saranno comunque libere secondo l’art. 24 della Costituzione atteso che l’esercizio professione (in tal caso difensore tributario come avocato, commercialista, ecc.) implica libertà di discernimento ed espressione;
  • altro conto è dire che gli atti saranno a circuito chiuso la cui parte regolatoria applicativo- implementativa sarà del tipo algoritmizzata, in stile chatbot, a crocette, con utilizzo di brevissime frasi e via discorrendo.

Dove va a finire l’arte difensiva? Una parola potrebbe agevolare: caput (e la Cina ci ricorda un esempio dato che nel sistema penale è stato introdotto il giudizio robotizzato per alcuni reati)!

PUNTO SEI: sempre all’art. 19, infine, si legge di voler modificare l’art. 57 del DPR 602/1973 nel senso che le opposizioni all’esecuzione ed al pignoramento tributario devono esser di competenza del giudice fiscale laddove il contribuente stesso contesti la mancata notifica di “cartelle di pagamento o d’intimazione” (ex messe in mora).

Diciamo che il legislatore nel voler intendere una prospettiva giusta, forse, dimentica che l’art. 57 è stato già modificato in tal senso nel 2018 (e quindi ad oggi in vigore) con la sentenza della Corte Costituzionale n. 114 alla quale ha fatto seguito la decisione a Sezioni Unite della Cassazione n. 7822/2020.

Ma si faccia attenzione ad una cosa: non era intenzione eliminare le cartelle con la delega fiscale in questione? Ed è solo l’inizio. Si resta in attesa di evoluzioni in questo ballo delle incertezze. Sperando non sia l’Ultimo per salvare il sistema tributario italiano.

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