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Donne single e senza figli. Entro il 2030

Avvocato, Giornalista Pubblicista e Presidente "Consiglio per la Parità di Genere"
Donne single e senza figli. Entro il 2030

La notizia è questa: entro 5 anni, il 50% delle donne (nella società moderna) sarà single e senza figli. Lo dice un’autorevole ricerca della Bank of America e c’è da crederci visto l’aria che tira per tassi di fertilità (l’Italia, per inverno demografico, è terza al mondo, dopo la Corea e il Giappone).

Una previsione accolta con soddisfazione dal women empowerment generale, con noncuranza dalla politica, con preoccupazione dai movimenti sociologici/cattolici/nostalgici e infine con rimprovero da parte dell’uomo medio che colpevolizza le donne di aver perso quell’accoglienza tradizionale materna in favore di sciocche vanità social se non proprio insopportabili prevaricazioni di ruolo.

Indaghiamone i vari filoni, partendo dai movimenti femministi che hanno duramente combattuto per l’emancipazione femminile. E’ a questo che miravano? A strappare quel cordone ombelicale tra l’essere donna e la sua funzione naturale di figliare? Non credo. Credo invece che nell’inseguire la parità i movimenti femministi abbiano chiesto giusto (l’affermazione professionale) ma ottenuto altro. Mai infatti la parità ha incorporato il concetto di sterilità funzionale del ruolo materno. Ha preteso invece che venisse tutelato, supportato, accompagnato affinchè non costituisse un gap o, peggio ancora, una scelta tra il lavoro e la famiglia.

Una richiesta vana che, non accolta per decenni dalla politica, alla lunga ha prodotto un bivio: lavorare o figliare. O, peggio ancora, figliare abnegandosi sul posto di lavoro (il gap oggi fra lavoro femminile e maschile è oggi ancora oltre il 20%).

Vi è stato poi un periodo del “diffuso inganno” dove la società chiamava (e ne pretendeva) le donne come “multitasking” e in virtù di questo le voleva eccellere su tutti i fronti (donne curate, mogli amorevoli e grandi lavoratrici), ma per fortuna questa truffa narrativa è durata poco e le donne hanno detto basta. Esaurite. E hanno iniziato a fare delle scelte.

La politica, dicevamo, continua ad essere noncurante, lì dove dovrebbe riconoscere i servizi all’infanzia come servizi gratuiti pubblici essenziali, ancora li continua a trattare come beni di lusso (una retta di 600€ mese a figlio per un asilo privato è bene di lusso) regalando qualche mancetta qui e lì per abbattere i costi. Una gestione svilente che fa assomigliare il tema al cambio delle automobili vecchie o a qualche derelitta caldaia. E’ ovvio dunque l’inadeguatezza di quanto pubblicamente offerto.

Poi vi sono gli uomini che, se il ruolo delle donne si è modificato mille volte solo nell’ultimo secolo, loro sono fermi, immobili, statici a quelli che erano cento anni fa. Loro (o quantomeno i più) tornano a casa e ancora chiedono “cosa c’è per cena” in un ripetersi immutato, permanente, stancante del tutto disallineato con il ruolo delle donne di oggi. Perciò (sui social) le deridono, le rimproverano, in altre parole non le comprendono lì dove le vorrebbero ancora per metà conigliette sexy e per metà impastatrici domestiche a custodire il loro focolare (sempre però dopo aver lavorato perchè con uno stipendio solo, non ci si fa).

Da ultimo, ci sono le protagoniste, le donne.

Sui social esultano quelle che festeggiano la rottura del dogma che le voleva necessariamente madri (e da un canto, circa la libertà di autodeterminarsi, è sicuramente un traguardo).

Eppure, ma questo lo dico sottovoce, in vita mia non ho mai conosciuto nessuna donna che non abbia sentito la chiamata a diventare mamma se non a vent’anni, sicuramente a quaranta. Che poi non ci sia riuscita e che perciò abbia diluito la sua delusione nell’emancipazione lavorativa o sociale, è stato un ripiego, nemmeno troppo incomprensibile.

Il punto allora, di cui come sostenitrice della parità avrei anch’io festeggiato a gran voce, non era scalfire il ruolo naturale materno delle donne, ma metterle in condizioni (strutturali e, diciamolo, a volte anche medico) di poterlo diventare. Tutelare allora non tanto la libertà di non essere più madri, ma la libertà di poterlo essere davvero. Senza doverci rinunciare e fingersi pure entusiaste.

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