Con 84 voti a favore e 58 contrari, il Senato della Repubblica ha approvato la proposta di legge per rendere la gestazione per altri “Reato Universale”. Cosa significa? Che non si potranno più eludere i confini per andare all’Estero a percorrere una scelta proibita in Italia già dal 2004: ovunque si vada, al rientro, si sarà passibili di incriminazione. Decisamente non un “lieto evento”. Provando a lasciare la bagarre politica sugli scranni parlamentari e gli slogan (“Uccidere un bambino non è reato universale, dargli la vita sì” cit. Nicola Vendola) ai claim televisivi, come impatta per davvero questa decisione sugli aspiranti genitori italiani?
Intanto, chi sono: la maggior parte degli aspiranti genitori che ricorrono alla GPA (gestazione per altri) sono le coppie infertili, quelle cioè che per patologia o per sfortuna non riescono a procreare naturalmente ma anche coloro dove la donna ha determinate patologie (cardiache, scheletriche, etc) che ne sconsiglino la sopportazione di una gestazione. L’organizzazione Mondiale della Sanità stima che in Italia siano il 15% del totale delle coppie totali interessate ad avere un figlio, più o meno quasi 50.000 ogni anno, 100.000 persone dunque, la metà di quelli che ricorrono alla PMA (procreazione medicalmente assistita).
Non esiste una vera e propria tracciatura che dica che chi procede alla PMA poi successivamente tenti la GPA però è molto probabile dato che le percentuali di successo della PMA si aggirano intorno al 40%. Se si può immaginare una successione progressiva fra i tentativi di procreazione medica, non necessariamente i dati si intrecciano con il numero delle coppie che chiedono di adottare (Istat, 2021, Adozioni Nazionali): meno di 10.000 all’anno con probabilità di successo intorno al 5%. Alle coppie che arrivano a ricorrere alla GPA (addirittura con possibilità di chiedere un ovulo di una donna terza), si sommano, in numeri più risicati, i single e le coppie omosessuali maschili (seppur solo a questi ultimi i media hanno dato prevalentemente attenzione).
Guardando il bicchiere mezzo pieno della notizia, commuove tanta voglia di genitorialità in anni in cui la denatalità è in picchiata pericolosa e in cui la diffusione dell’orgoglio “child free” è in dilagante diffusione. Altro che cani e gatti, come dice il Santo Padre, pare che in giro ci sia tanta voglia di bebè. Ma allora perché non accompagnare questo divieto a nuove e più agevoli misure pro vita? Perché ad esempio non semplificare le prassi adottive, potenziare i reparti di PMA, sostenerne economicamente per evitare il ricorso al costoso privato (spesso all’Estero), prevedere misure a tutela della maternità già in giovane età (“egg freezing”) e di controllo e conservazione della fertilità maschile, costruire una cultura dell’adozione, semplice, agevole e percorribile e strutture che altrettanto possibilmente ne processino le istruttorie?
Spesso quando si parla di “pro vita” si finisce nel tritacarne delle associazioni contro il diritto di aborto (che puntano ad interferire con la libera autodeterminazione femminile) ma in questo caso le misure “pro vita” non eserciterebbero interferenza né convincimento bensì aprirebbero le maglie affinché queste opzioni non si stringano solo a favore di chi (…poi finisce sempre così), economicamente, se le può permettere. In altre parole: se vogliamo tutelare le donne (dalla GPA) e la vita, non basta dire i no. Bisogna partire dai si.
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