Quando si parla di lobbying nel settore della salute si pensa subito alle pressioni per far approvare farmaci non necessari o addirittura dannosi. È uscito recentemente su Netflix il film “Pain Hustlers – Il business del dolore” di David Yates con Emily Blunt, l’attrice inglese che interpretava la nevrotica segretaria numero 1 nel film “Il diavolo veste Prada”. Il film racconta la storia di una società con un nome che, in italiano, mette già paura: Zanna. Attraverso la complicità tra informatori farmaceutici e medici, la società diffonde un oppioide molto efficace contro il dolore oncologico, ma con il non trascurabile effetto collaterale di creare dipendenza. Il film è liberamente ispirato a un articolo del New York Times del 2018 di Evan Hughes: “The Pain Hustlers”, che denunciava le storture del narco-capitalismo. Hughes si riferiva alla Insys Therapeutics, il cui fondatore, John Kapoor, è stato condannato e ha scontato due anni di carcere.
Quando si parla di lobbying nel settore della salute non si pensa però ai molti casi, la quasi totalità direi, nei quali questa attività ha letteralmente salvato la vita di molte persone. È il caso della risonanza magnetica.
Oggi ci sembra un esame diagnostico che rientra nella normalità. Molti di noi ne hanno fatta una. Ma non era così vent’anni fa. Per la nostra video-rubrica Lobby Non Olet ne abbiamo parlato con Laura Batchelor, direttore di FIPRA Public Affairs.
Batchelor ricorda come, all’inizio della sua carriera di lobbista, la risonanza magnetica fosse considerata pericolosa per gli operatori che lavoravano con le apparecchiature necessarie per svolgere questo esame. La possibile conseguenza era che il legislatore approvasse una restrizione nell’uso di questa pratica diagnostica che avrebbe comportato seri problemi per la salute dei pazienti. “I rappresentanti dei produttori e i clinici vennero da me spiegando che in realtà, dal punto di vista scientifico, esistevano le prove per cui questo non era vero. La normativa che imponeva una restrizione nell’uso dei macchinari non era necessaria, e se approvata, come conseguenza i pazienti non avrebbero potuto beneficiare dell’uso di questa tecnologia”.
In questi casi, il compito del lobbista è creare un’alleanza che riunisca tutte le figure coinvolte: in primo luogo i pazienti, poi i ricercatori, i medici e i produttori. Laura Batchelor insiste su un aspetto, e io sono pienamente d’accordo con lei. Il punto non è portare opinioni, ma fatti. Raccogliere evidenze sulla sicurezza di un macchinario, di una pratica, di un prodotto.
Questo caso ci impartisce una grande lezione. Il progresso scientifico non può vivere solo grazie al suo rigore, ma deve essere accompagnato dalle leggi che lo fanno diventare una realtà per i cittadini. Allo stesso modo, non ci dobbiamo innamorare del progresso in quanto tale, senza valutare le sue conseguenze nella società. Il lobbista occupa una casella in questo processo. È una piccola casella ma è importante.
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