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Lobby non olet: il lobbying è un bene necessario

Lobby non olet: il lobbying è un bene necessario

Ci piaccia o no, non c’è democrazia senza attività di lobbying. La rappresentanza degli interessi è infatti parte integrante degli Stati democratici. I detrattori si devono rassegnare: il lobbying è un bene (non un male) necessario, sempre a patto che non si preferisca vivere in un regime totalitario, dove questa attività non esiste e il dibattito sulla loro regolamentazione non ha ragione di essere.

Da lobbista, conduco questa battaglia ormai da qualche anno, anche attraverso la rubrica video Lobby non olet, che dà spazio a studiosi, professionisti del settore e a rappresentanti delle Istituzioni. Il ricercatore Alberto Bitonti, l’ultimo intervistato, ne fa una questione filosofica non di poco conto, interrogandosi sulla natura e sull’esistenza stessa dell’interesse generale.

Il ragionamento è complesso ma stringente. Si parte da una domanda che non è peregrina: esiste un interesse universale, che riguarda tutti gli abitanti del mondo? Per gli scienziati della politica la risposta è no. Ne è una prova il fatto che anche un interesse cruciale e ampiamente condiviso come la tutela del pianeta confligga con gli interessi particolari delle aziende, che non possono o non vogliono cambiare il loro modo di produrre, e di tutti noi, che, malgrado i bei proclami su Twitter, siamo restii a modificare il nostro stile di vita. Di conseguenza, l’inesistenza di un interesse universale porta alla legittimità degli interessi particolari e alla necessità delle democrazie di creare un sistema in cui sia possibile una sintesi tra loro, dalla quale scaturisca la decisione politica. Questa sintesi non è statica e non si crea una volta per tutte, ma è il risultato temporaneo di negoziazioni successive ed è influenzata dal contesto sociale, ossia dai valori che caratterizzano la società in quel momento specifico

“Se manca un criterio epistemico di conoscenza di un bene assoluto, allora tutti gli interessi hanno una pari legittimazione nel competere e nel cercare di influenzare l’opinione pubblica, il legislatore, il dibattito pubblico. Sono interessi che si contrappongono ed è questo il gioco democratico” afferma Alberto Bitonti.

Dunque, non c’è democrazia senza interessi in competizione tra loro. Una verità che ha un effetto collaterale, perché rende frangibile l’istituzione democratica e pone la nostra esistenza sempre sull’orlo di un baratro totalitario. In questo senso, ha fatto riflettere l’assalto al Campidoglio degli Stati Uniti del 6 gennaio 2021, tanto da portare Joe Biden a sottolineare proprio questo aspetto nel suo primo discorso da presidente degli Stati Uniti del 20 gennaio scorso: “Abbiamo imparato ancora una volta che la democrazia è preziosa. La democrazia è fragile. E ora, amici miei: la democrazia ha prevalso!”. La democrazia ha prevalso “ora”. Non per sempre.

Dopo trent’anni di attività come lobbista, sono convinta che la mia professione contribuisca al meccanismo della democrazia e non lo svilisca. Contesto l’affermazione del divulgatore Marco Montemagno, del quale apprezzo il lavoro, quando in un suo video sul tema dichiara “vince chi ha più grano, vince chi è più potente, vince chi è più organizzato, il che significa che nell’Unione Europea contano di più 30 mila lobbisti pressanti e molto rumorosi e influenti, rispetto a 500 milioni di cittadini che tendenzialmente sono silenziosi” (18 settembre 2016). Un ragionamento che, malgrado sia affascinante, non prende in considerazione il fatto che la democrazia per avvicinarsi al concetto di “potere del popolo” non può essere sempre diretta e non può funzionare a colpi di referendum o votazioni sul web. Deve invece mettere in atto meccanismi di rappresentanza degli interessi che portano alla tutela dei cittadini e delle imprese.

I lobbisti a Bruxelles si impegnano infatti a proteggere produzioni tipiche del made in Italy come il parmigiano reggiano o i vini docg, svolgendo un’attività che noi singoli cittadini non avremmo il tempo e la competenza per svolgere. Allo stesso modo, si impegnano per tutelare produzioni o attività che magari detestiamo, come la caccia, ma che sono comunque permesse dalle leggi. Anche in questo secondo caso, dobbiamo essere grati che i rappresentanti di queste ‘industrie’ siano costretti a confrontarsi con un’istituzione che ci rappresenta. Di nuovo, da singoli cittadini, non avremmo la forza, il tempo e la competenza per contrastare le loro richieste irragionevoli.

Ecco perché la lobby è necessaria, malgrado la sua utilità sia spesso anti intuitiva e complessa da dimostrare. Ma io non demordo e continuo a pensare che lobby non olet.

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