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Perché le cose brutte sono belle

Perché le cose brutte sono belle

Di cosa parliamo quando parliamo di arte? Una domanda che ci poniamo ogni volta che ci imbattiamo in un’opera che esce dai canoni del ritratto o del paesaggio. Cosa ci vogliono comunicare un paio di scarpe consunte come quelle di Van Gogh, i vasi di Morandi o la lattina di zuppa di Wharol? Per non parlare della pipa di Magritte o dell’orinatoio di Duchamp…

Opere che ci fanno riflettere sull’estetica, il ramo della filosofia che ci insegna che non tutto quello che definiamo bello risulta piacevole ai nostri occhi o armonioso o coerente con il contesto che lo ospita. Non mi metterei mai in salotto il quadro con il bue squartato appeso a un gancio di Bacon, ciò nonostante lo trovo bello perché riconosco all’opera una capacità di indurre un’epifania, una “manifestazione”.

Per PRIMOPIANOSCALAc di Telos A&S abbiamo intervistato la scultrice tedesca Katharina Fritsch. Nel 2013, ha realizzato un gigante gallo blu, destinato a Trafalgar Square a Londra. Un imponente opera alta 4,70 metri in acciaio e fibra di vetro, che ha sconvolto l’aspetto ottocentesco della piazza: “Il gallo si adattava perfettamente a Trafalgar Square. Perché? Per via di tutte quelle sculture che commemorano i grandi militari britannici, quelle figure molto maschili sui loro piedistalli. Ma si adattava anche perché le piume della coda esplodono, e riecheggiano la forma delle fontane”.

Ogni opera che sfugge agli schemi tradizionali ci spiazza e ci lascia perplessi. Ci sentiamo Remo e Augusta in Le vacanze intelligenti di Alberto Sordi, di fronte alle opere astruse della Biennale di Venezia. Ma, allo stesso tempo, ci fa riflettere sul significato dell’arte. E su quelle scarpe rotte di van Gogh. Chi lo avrebbe detto che sarebbero state ammirate negli anni a venire dai visitatori di tutto il mondo?

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