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Premierato e Stato federale. I rischi politici e il ritorno di Pontida.

Giurista, saggista, editorialista

Partiamo da due frasi: “L’obiettivo è arrivare a fine legislatura con un’Italia federale” e “i cittadini dovranno eleggere direttamente il presidente del Consiglio e la sua maggioranza di governo, e per cinque anni il voto dei cittadini non si tocca”. Le ha pronunciate Matteo Salvini a Brescia durante la chiusura della campagna elettorale delle amministrative 2023.

Un unico filo conduttore che le “lega”? La riaffermazione (o meglio dire reviviscenza) della genesi esistenziale leghista.

Ricordiamo gli anni novanta e quella voglia irrefrenabile di separazione del Paese che con la riforma del Titolo V della Costituzione costò caro, sul piano politico, al centrosinistra “prodiandalemiano” il quale rincorse la Lega sul tema al punto tale da dover accontentare gli appetiti elettorali di pancia rispetto a quelli, razionalmente, orientati a comprendere la macchina dello Stato (per come pensata in tutti i suoi ingranaggi da chi usciva dalla seconda guerra mondiale).

Dal rito dell’ampolla e dei viaggi sul Po che la Lega ha consolidato nel tempo per dare corpo ad una base anti-unitaria nazionale, si è giunti al bacio di rosari e crocifissi per raccontare un nuovo percorso: “uniti nella fede, federati nella sede”.

È così che dopo Bossi, Matteo Salvini, tra idee varie per far rimanere vivo il partito, ha inventato il listone nazionale “Salvini premier” nel momento più buio di Forza Italia che, Berlusconi permettendo, si annoderà in gola tutto ciò che necessario a far alimentare l’idea del bipolarismo: centrodestra – centrosinistra.

Il tempo purtroppo è il peggior nemico della politica, ma anche il migliore.

Il peggiore perché i cicli politici passano per tutti.

Il migliore perché chi sa aspettare, sa che il futuro necessiterà di maggiore diversificazione politica che le coalizioni storiche, appunto, non sono più capaci di assicurare: vedasi il calo vertiginoso dei cittadini alle urne.

Allora che succede?

Si cerca la spinta “premieratista su base federalista” per dare senso alla congiunzione di due anime che solo Berlusconi ha potuto unire per trent’anni (e che l’obbiettivo di Governo attuale ha fatto di necessità virtù): quella conservatrice meloniana con quella federalista salviniana.

Mentre la prima ha fatto i conti con la propria storia nella seconda repubblica, la seconda cambia connotati, temi, presentabilità politica per alla fine riproporre sotto altra terminologia il fine da cui origina il tutto.

Basti leggere l’art. 1 dei rispettivi statuti:

  • Fratelli d’Italia vorrebbe attuare un programma politico sulla base della sovranità popolare, libertà, democrazia, ecc. ispirandosi ad una visione spirituale della vita e ai valori della tradizione nazionale, liberale e popolare, partecipando alla costruzione dell’europea e dei Popoli promuovendo l’unità nazionale;
  • Lega per Salvini premier, movimento politico confederale, si propone con finalità pacifica la trasformazione dello Stato italiano in uno Stato federale.

Non c’è occhio di cieco che non guardi il muto direbbe il sordo dopo aver ascoltato entrambi (cit. della tradizione nazionale italiana).

Ebbene, le finalità di realizzazione programmatico-politica tra le due forze sono agli.

E c’è un terzo fatto da valutare tra le due posizioni.

Anzi, in realtà è il primo da tenere presente partendo da quanto lo statuto della ancora esistente Lega Nord – Padania prevede (ultima modifica nel 2021 – andando sul sito del movimento politico nordista): art. 1 – “Lega Nord per l’Indipendenza della Padania” (di seguito indicato come “Lega Nord”, “Lega Nord – Padania” o “Movimento”), è un movimento politico confederale costituito in forma di associazione non riconosciuta che ha per finalità il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana”.

Quindi, ci sono da fare due considerazioni almeno rispetto all’azione di governo verdeblu a presidenza Giorgia Meloni.

La prima riguarda la serietà: Matteo Salvini (salvo disconoscimenti reciproci tra Bossi e l’attuale Ministro delle Infrastrutture) è al contempo leader di fatto della Lega Nord e di Lega per Salvini premier: nel primo caso vuole la separazione dell’Italia, nel secondo renderla federale.

La seconda riguarda la sostenibilità: Giorgia Meloni fino a quando potrà consentire ad un alleato di governo di mantenere un profilo di ambiguità tale da rendere, a seconda delle necessità, indirettamente poco credibile la riforma del premierato?

Perché delle due l’una:

  • O il premierato si contestualizza rispetto ad una logica elettiva diretta su base nazionale unitaria;
  • Oppure non può essere premierato (al massimo cancellierato alla tedesca).

La domanda più importante su cui riflettere, però, appartiene non solo al senso di quel che si propone (Stato federale con premierato elettivo), ma alla promiscuità delle cose di cui alcuni elementi rimangono velati agli occhi degli elettori (un esempio ce lo ha dato il recente taglio parlamentari).

Una potatura ai rami del Parlamento oggi, una sfoltita ai poteri dello Stato centrale ieri, un po’ di premierato elettivo domani dissociato dalla base federale domani ed ecco bello e servito il disegno di Pontida.

Solo che siamo nel 2023, magari è l’occasione per aggiungere un 4.0 che non rappresenta i gradi del freddo politico, ma l’evoluzione di una forza politica che (incamerando voti dal Sud e facendo candidare persone nel tempo in quel listone nazionale per Salvini premier) non si nutre lontana dal proprio albero di nascita.

Per questo, non rimane che un appello. Cerchiamo di ragionare “uniti nella sede”: quella della Repubblica italiana. Non una qualsiasi. Quella voluta dai Costituenti, i cui ragionamenti e valori andrebbero ripescati. Non a Pontida, ma tra i settentrionali ed i meridionali morti per darci una Patria nuova. Degna degli elettori e della migliore classe politica.

A Giorgia Meloni l’arduo compito di garantire i processi che si stanno annunziando.

Diversamente, sarà crisi.

Per questo motivo, il bipolarismo rischia di esser superato dal realismo.

Il governo Draghi ne è stata recente testimonianza.