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Salvare la sanità italiana ed abbassare le tasse è possibile. Un’idea.

Giurista, saggista, editorialista
SEDE ISTITUTO EUROPEO DI ONCOLOGIA DOTTORI MEDICI SCIOPERO DOTTORE MEDICO BRACCIA INCROCIATE
SEDE ISTITUTO EUROPEO DI ONCOLOGIA DOTTORI MEDICI SCIOPERO DOTTORE MEDICO BRACCIA INCROCIATE

Salvare la sanità italiana senza drammi ma con grande prospettiva è possibile.
L’idea sarebbe quella di tassare le transazioni digitali alla fonte per, consequenzialmente, dimezzare le aliquote Irpef, Ires e Iva nel giro di pochi anni ed eliminando, poi, anche l’Irap da cui si finanza prevalentemente il sistema sanitario italiano.
Detta così può sembrare una semplice operazione di maggiore peso fiscale sui cittadini italiani.
Sarebbe invece una operazione che non colpirebbe italiani in quanto tali, bensì i transattori digitali a prescindere dalla nazionalità slegando tale caratteristica anche dallo scambio del bene o servizio eventualmente oggetto delle parti.
Potrebbe ulteriormente sembrare un dazio mascherato; ma anche in questo caso non lo è perché il dazio incide sul bene o servizio mentre tale tassazione prende spunto dalla teoria del “reddito liquido” (ideata prevalentemente per le società).
Allora, un tipo di tassazione digitale del genere sarebbe davvero semplice, immediata, senza possibilità di evasione fiscale o di altro genere.
L’idea sarebbe quella di applicare (è solo un calcolo teorico), ad esempio, 0,01 euro a “prelievo produttivo” alla fonte delle transazioni digitali e, considerando che in Italia registriamo circa 470 miliardi di valore digitale annuale transatto, avremmo un introito di 4,7 miliardi di euro circa di
soldi da destinare alla sanità (che, stime alla mano, avrà bisogno di circa tot. miliardi fino al 2028 che al momento non ci sono).
Per assurdo, aumentando fino a 0,05 centesimi su tre anni di programmazione per bilancio pluriennale potremmo coprire mezza finanziaria al secondo anno e quasi una intera finanziaria al terzo anno. Addirittura, arrivando ad 1 euro per montante proporzionale di transazioni digitali annuali (crescenti ovviamente) avremmo 470 miliardi in cassa erariale che coprirebbero il 6% di spesa sanitaria attuale sul PIL (fonte: PSB Piano strutturale di Bilancio 2025-2029) con un residuo
che sarebbe almeno 3 volte e mezza l’attuale uscita di cassa statale.
Il tutto, però, andrebbe modulato per valore di transazione in base a criteri misti (ad esempio per grandi, medio, piccole e una fascia di transazioni esenti) perché andrebbero rispettati due principi costituzionali: la proporzionalità e la progressività.
Quindi, non si tratterebbe di tassazione sterile, ma di tassazione produttiva avente uno scopo preciso con una prospettiva, a medio-lungo termine, di natura diversificata: ovverosia abbattere della metà (almeno) Irpef, Iva ed Ires ed eliminare l’Irap.
E gli italiani, per quanto aberranti le maggiori tasse, finalmente vedrebbero risolti problemi atavici con pochissimo sforzo.
Inoltre questo sistema di prelievo, applicato per altre cose, ridurrebbe al massimo (o eliminerebbe del tutto a seconda dei punti di vista) il rischio di evasione fiscale sulla manifestazione della ricchezza transatta e abrogherebbe, una volta per tutte, il ruolo dei sostituti e dei sostituiti
d’imposta.
Non è detto che sia una soluzione da bacchetta magica, ma si spera quantomeno una buona partenza per una riflessione più ampia in questo Paese: sanare, di riflesso, un di debito pubblico.
Ed è costituzionale come obiettivo.
In ultimo, se si pensa che tale tassazione colpirebbe un mezzo di pagamento lecito (il digitale) più del denaro circolante, non sbaglia formalmente, ma sostanzialmente.

Ciò per almeno due motivi:
– primo perché le transazioni digitali sono imposte per legge da un certo ammontare in poi e quindi hanno di per sé un vantaggio competitivo che non le rende uguali rispetto all’utilizzo del denaro contante;
– secondo perché mentre il denaro contante è un mezzo di pagamento lecito basato sul criterio della disponibilità economia al portatore (cioè che segue la realtà dello scambio) la transazione digitale è un mezzo di pagamento lecito basato sul criterio di disponibilità finanziaria (cioè che segue il servizio bancario).

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