In una democrazia che si rispetti, dove il voto degli elettori è sacro e non mediabile, non dovrebbe esserci un parlamento composto da nominati ovverosia di deputati e senatori (come in Italia) non “votati nominativamente”.
Ebbene, dopo l’assurdo taglio dei parlamentari avvenuto nella legislatura scorsa (che contrasta con lo spirito di proporzionalità e ragionevolezza dei Padri e delle Madri costituenti), oggi il Parlamento italiano vive in una sorta di oligarchia mascherata in cui i partiti nominano sostanzialmente deputati e senatori la cui alea d’ingresso di quest’ultimi a Palazzo Madama o Montecitorio dipende dall’oscillazione verso l’alto della percentuale di voti presi dalla lista del partito (o dalla blindature in posizione strategica in lista stessa).
Si potrebbe opinare che non c’è un vero problema di fondo per la tenuta democratica dal momento il candidato imposto in lista è persona stimata dal partito poiché considerato dalla linea di comando apicale individuo di fiducia (che, quindi, mai metterebbe in discussione la linea politica o la leadership del capo e dei dirigenti di partito).
Qui c’è, invece, il primo problema democratico: se io rispondo in tutto e per tutto alla linea di comando di partito che mi ha garantito un posto in lista per entrare in Parlamento, non avrò mai interesse a mettere in discussione la leadership (salvo suicidio politico) anche laddove quest’ultima, in ipotesi di ascesa al governo, dovesse palesemente fallire o contrastare il mio intimo credo politico.
Motivo per cui il principio di divieto di mandato imperativo sarebbe (ma il condizionale è una forzatura) violato nella genesi applicativa della norma che consente i listini bloccati.
C’è un secondo problema: il candidato in listino bloccato non può contare i propri voti se non tramite una sorta di vacuo sistema di rintracciamento dei predetti voti al partito ed espressi sul territorio di provenienza o di candidatura. Tuttavia, alla Camera la ripartizione è nazionale ed al Senato su scala regionale: motivo per cui il parlamentare stesso entra in una spirale di “voto liquido” che non gli consente di capire quanto pesa, cosa rivendicare e chi rappresentare. Risultato? Essendo difficile tale conta ha un’unica soluzione per essere determinante all’interno del contesto: essere persona di fiducia di chi comanda il partito che sceglie le liste.
È piena democrazia questa?
No di certo e già la Corte Costituzionale aveva dichiarato i listini bloccati della legge porcellum (n. 270/2005) incostituzionali con la sentenza n. 1/2014.
Siamo ad un punto di non ritorno e Giorgia Meloni lo ha percepito e inteso così bene che il 2 dicembre 2024, a Quarta Repubblica su Rete 4, ha anticipato di essere favorevolissima alla eliminazione del problema annoso dei listini bloccati.
Il punto è semplice: se io leader devo mettere in lista persone che non possono contarsi per i voti che dovrebbero prendere sui territori, di contro, anche io come leader non so a chi dare considerazione elettorale corrispondente al mandato degli elettori. Traduzione: di chi mi fido se non so chi porta davvero consensi crescenti ed autonomi riversandoli al partito?
Basterebbe una legge elettorale nuova per abrogare i listini bloccati; questo è vero.
Ma siamo certi che al primo cambio di maggioranza non tornino facilmente?
Per questo sarebbe un bene inserire in Costituzione l’impossibilità di prevedere leggi elettorali con sistemi del genere.
Tornerebbe più gente a votare ripristinandosi un sano rapporto di relazione diretta con il proprio candidato al Parlamento.
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