“The Whale”, il nuovo film di Darren Aronofsky, ha ricevuto molti consensi, grazie soprattutto all’interpretazione da Oscar di Brendan Fraser. Eppure, nonostante il riscontro positivo del pubblico, alcuni lo hanno comunque definito un po’ troppo “patetico”. Secondo il loro parere, infatti, certe scene sarebbero state costruite apposta per far piangere lo spettatore a tutti i costi. Di solito tendo a ritrovarmi d’accordo con questo genere di critiche: anche io non sopporto quei film talmente drammatici da risultare quasi comici. E, vi dirò, a tratti perfino “The Whale” ha tirato fuori il mio lato più scettico, facendomi pensare: “…Beh, qui stanno palesemente cercando di farmi piangere”.
Solo a tratti però.
Ebbene sì, lo ammetto: durante i titoli di coda mi sono ritrovata in lacrime come non mi capitava da tempo. Chissà, magari gli sceneggiatori sono stati particolarmente abili nel manipolarmi, anche se penso che a commuovermi siano stati soprattutto i messaggi che hanno voluto lasciar trapelare. O, quanto meno, quelli che ho recepito io.
Già, perché una delle cose più affascinanti di “The Whale” è che apre a tantissime interpretazioni, tutte diverse tra loro. Ad esempio, una delle più interessanti che ho trovato sul Web esplorava l’eccessiva positività del protagonista, al punto da definirla tossica. La sua incapacità di vedere la cattiveria nelle persone (in particolar modo nella figlia) lo avrebbe portato a vivere una vita “irreale”, all’insegna dell’ingenuità e del rimuginio. Di conseguenza, il finale non potrebbe essere altro che una fantasia di Charlie, generata dal suo disperato desiderio di aver fatto “almeno una cosa buona nella vita”.
Quando ho letto questa recensione ho pensato di avere visto un film completamente diverso. Successivamente, andando a ripescare altre opinioni su Internet, ho scoperto che sono stati in tanti a porsi domande sull’effettiva bontà o cattiveria della figlia.
Al contrario, quello che ho colto io come uno dei temi principali del film, se non il principale, è la sincerità come forma di contatto che porta inevitabilmente a chiedersi: una volta comprese le intenzioni e le emozioni dietro determinati gesti, ha ancora senso parlare di bontà e cattiveria?
La mia intenzione non è quella di negare totalmente questi due aspetti, quanto provare a porre la lente sui processi.
Perché, alla fine, quando Ellie cerca di fare del male a Charlie vomitandogli addosso quanto sia un essere disgustoso oltre che un pessimo padre, cerca comunque di toccarlo nel profondo. E Charlie, dal canto suo, non solo accoglie questa sincerità ma la ricerca attivamente, usandola come strumento per andare oltre le apparenze ed entrare in contatto con la figlia su un altro livello. Inoltre, a prescindere dal fatto che la scena finale possa essere effettivamente una fantasia del protagonista, noi vediamo Ellie scossa dalla fiducia del padre durante il film, cosa che ci dice di un cambiamento, seppur piccolo.
Per quanto possa essere un’interpretazione interessante, non penso neppure si possa parlare di un uomo vittima della sua eccessiva fiducia nel genere umano, perché Charlie durante il film dimostra di non essere vittima di un bel niente. Anche se determinate circostanze possono averlo influenzato, lui sceglie di abbandonare la sua famiglia per il suo studente, sceglie di versare i suoi risparmi anno dopo anno sul conto della figlia, così come sceglie di uccidersi lentamente. Non è uno sprovveduto, semmai un uomo che mette in primo piano gli altri piuttosto che sè stesso. Cosa che, tra l’altro, è ciò che lo rende così abile ad andare oltre i fatti e dirigersi verso le intenzioni, non tanto quelle rivolte all’altro (voglio essere buono o cattivo con te?) quanto, piuttosto, quelle legate a sé (di cosa sono davvero alla ricerca?).
Questa è la mia personale interpretazione del film, verso cui si può essere più o meno d’accordo e certamente influenzata dalla mia sensibilità. Forse, tralasciando le analisi psicologiche o cinematografiche, mi ha semplicemente commosso ripensare a tutte quelle persone che hanno scelto di credere in me tutte le volte che si sono ritrovati di fronte ai miei lati peggiori piuttosto che quelli migliori. E che, probabilmente, insieme alla mia esperienza personale e ai miei studi, mi hanno portato a realizzare che siano proprio le nostre emozioni e la nostra ricerca d’amore a stravolgere i sistemi e a provocare un vero cambiamento, in sé e negli altri.
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