L’ordine regna a Bologna. La “ditta” è riuscita a sconfiggere la concorrenza e a convincere l’elettorato dem e dintorni ad acquistare i prodotti tradizionali senza lasciarsi incantare da nuove suggestioni che si erano fatte le ossa aggredendo il potere costituito. Fuor di metafora la candidata sconfitta Isabella Conti si era guadagnata un bel po’ di notorietà facendo saltare, da sindaca eletta, avvalendosi di un cavillo giuridico, un importante insediamento immobiliare nel Comune di San Lazzaro di Savena, deciso dall’Amministrazione precedente della cui maggioranza faceva parte, in Consiglio, la stessa Conti.
L’aspetto più discutibile di quell’operazione sembrò essere una sorta di pregiudizio nei confronti del movimento cooperativo che era capofila del gruppo vincitore dell’appalto. In quei tempi, faceva aggio la dissacrazione, l’iconoclastia, la bohéme, la decrescita felice, la priorità del verde sul mattone e quant’altro è appartenuto a quella subcultura che non era soltanto nel dna delle forze (allora) antisistema, ma aveva fatto breccia (come tutte le eresie) anche all’interno del sistema. Certo la politica è una scuola dura, molto formativa; chi ha il quid (copyright Berlusconi) impara velocemente e cresce in fretta. Così è stato per Isabella Conti che è riuscita a riaprire una partita che sembrava già chiusa e che stesse avviandosi – per quanto riguarda lo schieramento di centrosinistra – a elezioni primarie senza gara e scontate nell’esito.
Matteo Lepore è riuscito a mobilitare la maggioranza dei militanti e degli elettori dem. Ha vinto bene, come ha riconosciuto la stessa Conti che gli ha assicurato sostegno e appoggio quando si svolgeranno le elezioni vere. Ma quale era – oltre agli aspetti di carattere personale e alle proposte sui problemi delle città – la vera differenza tra in due competitor? L’analisi più azzeccata è stata quella di Max Bugani: «Questo risultato è una vittoria del gruppo, di una squadra, in cui ognuno ha rinunciato all’egoismo e a qualcosa di personale per aiutare questo progetto», ha dichiarato il leader pentastellato in città. Che non si è risparmiato un attacco a Renzi, la cui candidata non avrebbe sostenuto (in verità è stata Conti che ha messo Renzi in disparte): «È una sua sconfitta e di tutti coloro che volevano spostare a destra l’asse del Pd e di M5s». Ecco il punto. Con la vittoria di Lepore, Bologna diventa un laboratorio dell’intesa “strategica” tra il Pd e il M5S, che si proietta anche sui contenuti politici: meno Blair più Corbyn; meno Renzi più Letta/Zingaretti.
Lo si è capito dai discorsi che Lepore e Conti hanno fatto a commento degli esiti del voto. Lepore ha prefigurato una Bologna, che, all’uscita dalla crisi sanitaria, sarà vicina a quelli che hanno «paura» del ritorno alla normalità, quando verranno meno quelle misure (dal blocco degli sfratti e dei licenziamenti) che hanno consentito di tirare avanti nei quindici mesi che abbiamo alle spalle. Se le parole hanno un peso, Matteo Lepore ha una visione distorta di Bologna (che definisce la città più “progressista”, un termine che rappresenta un surrogato nostalgico) e dell’impegno che è richiesto in questa fase. La città è stabilmente ai vertici delle classifiche nazionali ed europee; vanta una struttura produttiva e dei servizi a livello europeo, anche con aziende leader mondiali nei settori di appartenenza che lamentano di non trovare manodopera qualificata. Una città che non ha mai avuto paura, anche in momenti più difficili. E che va indirizzata ad avere più coraggio, non a leccarsi le ferite e a raccogliere i caduti.
Una Bologna all’altezza del suo ruolo è in grado anche di rassicurare chi ha paura. Ecco perché Lepore avrebbe bisogno del sostegno di Isabella Conti che domenica sera ha fatto un discorso molto bello, capace di una visione, di un pensiero, di un approccio riformista nell’affrontare i problemi esistenti. Ma è difficile che ciò avvenga, non per banali risentimenti personali, ma perché le culture dei due candidati stanno allo stesso bivio in cui si trova la sinistra in Italia e in Europa: fare politica o salvarsi l’anima?
A fronte di una candidatura un po’ vetero come quella di Lepore che si rivolge a una città nel suo disegno priva di prospettive, ci vorrebbe un candidato/a di centro destra coi fiocchi, capace di interpretare e rappresentare la voglia di ripartenza dei ceti e delle realtà più dinamiche e innovative di Bologna; di contrapporre una visione di futuro alternativa a quella di Lepore. Ma di fare quest’operazione non è in grado un centrodestra da sempre alla ricerca del tempo perduto. E pronto ad arruolarsi (e a travestirsi) sotto le bandiere di un candidato civico. Senza troppe pretese; basta che respiri.
