«Programmati 7,5 miliardi di euro, tra investimenti e manutenzioni. In crescita del 40 per cento le spese di manutenzione rispetto al quadriennio precedente, in linea con le interlocuzioni con il Mit (Ministero delle Infrastrutture, ndr)» a cui bisogna aggiungere il «Piano di assunzioni di mille persone: forte valorizzazione di competenze e risorse umane. Priorità a sicurezza su strade, cantieri e luoghi di lavoro». Così i primi capoversi del comunicato diffuso dopo la recente riunione del Consiglio di Amministrazione di Autostrade per l’Italia Spa. E se ciò non bastasse, alla lista della spesa bisogna aggiungere «Focus su ricerca, sviluppo, mobilità sostenibile per la creazione di una green infrastructure». Infine, per inserire un po’ di modernità «Al via la digitalizzazione dei processi e degli asset: tutta la rete sarà monitorata attraverso Intelligenza Artificiale».
Questi sono i punti chiave del piano strategico 2020-2023 di Autostrade per l’Italia Spa. Alcuni numeri per meglio capire la dimensione dello sforzo: il piano d’investimenti e manutenzione sulla rete è di 5,4 miliardi di euro che «portano quasi a triplicare gli importi investiti dalla società nel quadriennio precedente». Dove verranno investiti tanti quattrini in così poco tempo?
«Tali risorse consentiranno di portare a compimento entro i prossimi quattro anni un piano di ammodernamento dei principali asset strategici della rete come ponti, viadotti, cavalcavia, gallerie, pavimentazioni, barriere di sicurezza». Il giorno successivo la decisione del Cda di Autostrade un noto quotidiano economico e finanziario ha titolato “Aspi spende per evitare la revoca”.
Ora che la concessione è in bilico, sembra che il Governo decida dopo le elezioni regionali di domani, vengono diffusi da Autostrade tardivi messaggi di ammissioni e di colpevolezza, o per lo meno, di leggerezza. Le ferite sono ancora aperte.
La tragedia del crollo del Ponte Morandi di Genova del 14 agosto 2018 dove sono morte 43 persone è stato risvegliato dalla recente caduta di calcinacci dalla volta della galleria Bertè dell’autostrada A26. Fortunatamente non ci sono state vittime e il cedimento non ha causato incidenti.
I crolli non sono gli unici fatti che potrebbero intaccare il buon nome di Autostrade. È da anni che temi legati all’accusa di effettuare scarsa manutenzione e alla fantastica redditività di Autostrade diventano oggetto di silenti discussioni. Nel 2008, quindi ben prima delle tragedie e delle rendicontazioni sulle manutenzioni, la pacata casa editrice Il Mulino di Bologna ha pubblicato il libro scritto del professore Giorgio Ragazzi significativamente intitolato “I Signori delle autostrade”, volutamente con la S maiuscola.
Certamente non è un testo che cerca d’attirare l’attenzione del grande pubblico: è un saggio, uno studio zeppo di tabelle, intriso di numeri di formule matematiche e ragionamenti finanziari. Però, in alcune parti, il testo lascia ben trasparire ciò che i numeri suggeriscono.
Il capitolo quarto è interamente dedicato a “La società autostrade” da cui, per brevità, estrapoliamo solo tre capoversi: «Non vi fu alcuna corsa per l’aggiudicazione della quota di controllo, e l’unica trattativa fu quella con la Schemaventotto, società politicamente gradita e sostenuta, anche finanziariamente, dall’establishment economico del Paese». Grandi guadagni per i Benetton: «Possiamo concludere che la società ha effettuato nel quinquennio (1998-2002,ndr) solo il 10 per cento degli investimenti previsti nel piano».
Della questione relativa ai presunti mancanti investimenti di Autostrade se ne occupò anche il Tribunale di Roma nel 2006. Renato Castaldo, allora sindaco di Anas, stilò una relazione tecnico contabile nella quale sosteneva la tesi secondo la quale il denaro frutto dei pedaggi incassato dalla società Autostrade invece d’essere utilizzato per le manutenzioni veniva trasformato in dividendi.
La causa legale da cinque miliardi di euro venne transata con la firma di una nuova convenzione dall’allora ministro competente Antonio Di Pietro, il famoso ex magistrato di Mani Pulite. Non vi sono sentenze che condannano o assolvono la società Autostrade per il crollo del Ponte Morandi, l’inchiesta è ancora in corso. Però c’è voglia di rivalsa e, per quanto riguarda il Movimento Cinque Stelle, il desiderio di revocare la concessione. L’inserimento all’interno del decreto cosiddetto Milleproroghe della possibilità da parte di Anas di farsi carico della gestione del patrimonio di Autostrade può fare presagire una decisione radicale del Governo.
Due sembrano essere le strade percorribili: una definitiva: la revoca secca della concessione. Oppure, la seconda, più morbida, ridiscutere la concessione e negoziare con Atlantia quanti più benefici possibili può incassare lo Stato attraverso l’impegno del Governo. La prima strada, quella della revoca, potrebbe innescare una cascata di cause legali il cui esito è sempre incerto. La “discontinuità rispetto al passato”, e la “consapevolezza degli errori accaduti” potrebbero essere alcune delle leve utilizzabili per inquadrare tutto il sistema delle concessioni a vantaggio degli utenti e delle casse pubbliche. Lo storico pasticcio delle concessioni legate alla privatizzazione delle autostrade potrebbe trovare un punto d’equilibrio se, sia Atlantia che il Governo, si sforzassero ognuno svolgendo al meglio il proprio ruolo.
