Calci e pugni al prof. aggredito a Pisa: “Mi accusano di essere sionista solo perché non sono pro-Pal”. Bernini: “Miur parte civile”

Il clima in Italia si fa rovente. Non si placa l’eco delle polemiche per l’omicidio di Kirk e già tutte le frange estremiste si sentono convocate. Chiamate ad agire. A dire la loro, menando le mani. Succede a Pisa, dove un gruppo di pro-Pal ha irrotto ieri mattina durante la lezione di un docente di diritto comparato: difende Israele, va fermato. Lo circondano, lo spintonano, cade a terra. L’aula diventa un campo di battaglia: qualche studente si fa avanti per ricacciare la squadraccia. Il parapiglia finirà al pronto soccorso: sette giorni di prognosi per il professor Rino Casella, che proprio ieri iniziava il suo ciclo di lezioni.

Le testimonianza del professore

«Mi accusano di essere un sionista solo perché non sono pro-Pal e perché, insieme a un’altra collega, sono l’unico a essersi opposto alle scelte dell’Ateneo di non restare neutrale in questa vicenda», ci dice il professor Casella. «Non mi è stato solo impedito di fare lezione – ha spiegato – ma sono stato anche aggredito fisicamente, soprattutto perché mi sono preso calci e pugni quando ho cercato di fare da scudo a uno studente picchiato solo per avere tentato di strappare di mano ai manifestanti una bandiera palestinese». Tanto, evidentemente, da lasciar credere agli occupanti di poter godere di una certa alea di impunità, di cui in effetti si sono serviti a piene mani. L’università di Pisa infatti non è un teatro casuale: ha lasciato correre per mesi proteste e occupazioni. L’11 luglio scorso il senato accademico di UniPisa aveva deliberato che «Gli accordi già in essere ed eventuali nuove proposte di collaborazione con il governo israeliano e con enti pubblici o privati israeliani dovranno essere oggetto di attenta valutazione».

Le bandiere palestinesi – che nascondono quelle verdi di Hamas – campeggiano, intoccabili, in tutti i campus universitari. Ieri al Politecnico di Torino il professor Pini Zorea, docente dell’università israeliana di Braude, ospite (guest lecturer) di un corso di dottorato del Politecnico di Torino, ha difeso durante la lezione l’esercito di Israele definendolo «l’esercito più pulito al mondo». Apriti cielo. Il Politecnico «condanna quanto espresso dal docente e precisa che il corso è di sua esclusiva titolarità», perché loro non hanno alcuna collaborazione con l’Università di Israele. A Torino non c’è stato bisogno dell’intervento delle squadracce. «Appena venuto a conoscenza dell’inaccettabile esternazione, ho disposto, con effetto immediato, l’interruzione del modulo e la cessazione di ogni rapporto con il docente», ha commentato il rettore Stefano Corgnati. La libertà di espressione è un lontano ricordo. Possono esprimersi liberamente gli amici di Hamas, comunque mascherati. Non certo gli amici di Israele. O gli ebrei, e gli amici degli ebrei. Quelli che un altro professore universitario, Luca Nivarra, rimasto tutt’oggi al suo posto, al Dipartimento di diritto dell’università di Palermo, definiva: «Tutti bugiardi. Quelli buoni e quelli cattivi, tutti uguali. Da cancellare dalle amicizie sui social».

Bernini: “Inaccettabile gravità”

Questa classe docente e questi dirigenti dell’università sono lo specchio eloquente e disperante dell’abisso in cui è finito il mondo accademico. Al Riformista parla il ministro dell’Università e Ricerca, Anna Maria Bernini: «Le Università non sono zone franche. Sono, e devono rimanere, luoghi aperti, di confronto, democrazia, libertà per eccellenza, dove ogni idea può trovare cittadinanza, anche le più radicali. Ma c’è un limite intollerabile: la violenza, che rappresenta la negazione della democrazia e della libertà. Quello che è accaduto ieri a Pisa è di una inaccettabile gravità: interrompere le lezioni e aggredire un professore non ha nulla a che fare con manifestazioni di pensiero e contestazioni». E il ministro sottolinea il ruolo di chi, invece, le regole dovrebbe farle rispettare: «I rettori sono i primi responsabili della sicurezza negli atenei e come Ministero dell’Università siamo al loro fianco, pronti a raccogliere ogni sollecitazione per garantire il corretto svolgimento della vita accademica. Per garantire cioè la libertà, nella sicurezza». Poi il ministro sottolinea la sua iniziativa: «Per questo il Ministero valuterà la possibilità di costituirsi parte civile in tutti i casi di aggressione, che mi auguro non debbano più ripetersi».

Antisemitismo come prassi consolidata

Il movimento pro-Pal è un coacervo che punta alla saldatura tra frange eversive e fondamentalismo islamico. La stessa cabina di regia che in Spagna ha portato ad interrompere con una invasione di campo la Vuelta de España, per impedire ai ciclisti israeliani di arrivare in volata, e che ieri a Parigi hanno deciso di escludere dalla chat della prestigiosa Sorbonne tutti gli studenti dal cognome ebraico. Manca poco all’obbligo di esporre la stella di Davide gialla sugli abiti: ci arriveremo, forse è solo questione di tempo. D’altronde l’antisemitismo, diventato una prassi consolidata dopo il 7 ottobre, nelle università italiane è quasi un proforma. La legge Mancino, che un tempo designava l’antisemitismo come un reato penale, non è più in vigore da quando la magistratura ha deciso di non intervenire più. In Italia come in Spagna, in Francia, in Grecia. Siamo ormai alla fase due della campagna antiebraica: la prima fase era solo teorica, volavano parole grosse sui social e qualche insulto dal vivo. Adesso il salto di qualità. La violenza fisica, a partire dai gruppetti universitari. Nacquero esattamente così, negli anni Settanta, anche le Brigate Rosse.