L’unico vero tallone d’Achille di Donald Trump sono i file in cui con tutti i nomi di clienti e amici di Jeffrey Epstein, il finanziere puttaniere americano che aveva fatto nella sua isola al Virgin Island un gigantesco bordello per amici concorrenti e pezzi grossi in cui accadeva tutto il peggio che possa accadere nella criminalità sessuale: dalla prostituzione minorile alla pornografia infantile sotto la supervisione della fidanzata di Epstein, la Maxwell che è stata messa in galera dopo una condanna a vent’anni nel 2020 e da lì non si è mossa senza testimoniare e senza fare dichiarazioni sperando di uscire grazie a qualche revisione processuale quando lo scandalo impallidirà nella memoria.

Caso Epstein, Trump pensa a come evitare uno scandalo inarrestabile

Oggi salta fori che l’Attorney General Pat Bondi è andata due volte alla Casa Bianca per discutere con Trump come fare ad evitare uno scandalo inarrestabile. Ciò accade per iniziativa del Wall Street Journal che oggi è il nemico numero uno del Presidente. Jeffrey Epstein, quando finì in galera e sapendo quale sorte lo aspettava una volta messo insieme ai comuni detenuti che non perdonano stupri su minori, preferì impiccarsi alle barre della cella e lo fece in un tale stato di ubriachezza da lasciar pensare che il suo suicidio fosse stato consentito dalle autorità carcerarie. Epstein riuscì a compromettere i vertici di quasi tutte le amministrazioni e personaggi come il principe Andrea, figlio della Regina Elisabetta bandito per sempre dalla casata e dalla Regina. Epstein ha lasciato una collezione di inviti, album di foto di compleanno ed è l’unico avvoltoio che possa minacciare Trump di fronte al suo elettorato rurale e poco indulgente verso gli scandali sessuali dei ricchi. Negli anni in cui Trump era un giovane imprenditore miliardario, il suo nome compariva in una bolgia di elenchi segretati con nomi di vip che – secondo i pettegolezzi – andavano da Bill Clinton a Obama.

Trump non risulta impiegato nelle tresche di Epstein

La ministra della Giustizia appariva di nuovo ieri sulla prima pagina del WSJ in una foto di spalle, con capelli lunghi e biondissimi accanto a Trump che tocca amichevolmente sulla spalla. Trump e Bondi sembrano marciare su una linea concordata per poter sostenere che il Presidente negando che il suo nome appaia in relazione ad alcun reato insieme a quelli di centinaia di altri nei file del caso Epstein, E che dunque non sia il caso di aprire tutti i contenuti video, foto e messaggi per “proteggere prima di tutto le vittime” e non darle in pasto alla stampa che intende usarle per la caccia a Trump visto che l’attuale Presidente non risulta implicato nelle tresche di Epstein. Ma da quando il WSJ – giornale di destra non sempre allineato con Trump – ha pubblicato interviste e brani dei file è scoppiato il finimondo. Il Presidente ha fatto causa non solo alla testata e alla sua direzione, ma anche ai singoli giornalisti e all’a casa editrice chiedendo un risarcimento miliardario. Poiché il Wall Street Journal non si lascia intimidire, si stanno producendo delle crepe e nuovi pettegolezzi che promettono una lunga stagione di rese dei conti e di ricatti incrociati.

La versione di Trump

Sta di fatto che se non ci fosse stato un giornale, il Wall Street Journal, nessuno avrebbe saputo che Presidente e ministro della Giustizia si preoccupano di nascondere dei file provenienti della “camionata” degli archivi Epstein decidendo, per il bene dei minori convolti di dover prima di tutto proteggere le vittime che non dar la caccia all’uomo fino alla Casa Biacca. Quanto a lui, Trump, accetta di rispondere ai giornalisti dando la stessa versione: “Ho avuto contatti d’affari con Epstein quando eravamo imprenditori, ma quando venne a galla lo scandalo, non lo sentivo da quattordici anni.

Una camionata di carte

La Bondi ha definito il nuovo materiale dell’archivio Epstein “a truckload of documents”, una camionata di carte ed è cosicché si scopre un atto ignori fin quando il WSJ non lo ha pubblicato: che emerge un fatto nuovo: a maggio la Bondi aveva avvertito Trump del fatto che il suo nome saltasse fuori anche se non connesso a reati. E come mai non se ne era saputo niente? “Perché era una questione marginale rispetto ai temi dei colloqui” risponde la Bondi che ha detto di aver ricevuto solo a febbraio “la camionata” delle carte. Anche l’FBI, sotto il pieno controllo di Trump, tace su ciò che ha in archivio “perché non è connesso a reati”. E ufficialmente il responsabile delle comunicazioni della Casa Bianca Steven Cheung ha commentato: “Che l’FBI copra prove sul presidente è un’altra tipica fake news come quella del Wall Street Journal. Ma sale l’attenzione polisca per ciò che potrebbe diventare uno scandalo a rilascio lento come quello Watergate, che costrinse Richard Nixon a dimettersi.

Avatar photo

Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.