“Caso Shalabayeva, qualcuno approfittò del cambio di governo”, la ricostruzione di Emma Bonino

I misteri del sequestro di Alma Shalabayeva moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, non sono chiariti, ma una sentenza di primo grado fissa nomi e termini delle responsabilità della Polizia. Il Tribunale di Perugia ha condannati a cinque anni di carcere ciascuno e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici il questore di Palermo, Renato Cortese e l’attuale capo della polizia ferroviaria, Maurizio Improta. Entrambi subito rimossi, o come si dice in gergo “avvicendati” con destinazione ad altri incarichi su decisione del capo della polizia, Franco Gabrielli. Cortese all’epoca dei fatti era capo della squadra mobile di Roma, Improta capo dell’Ufficio immigrazione. Con loro vengono condannati a 5 anni di carcere i funzionari della squadra mobile, Luca Armeni e Francesco Stampacchia. Rispettivamente condannati a quattro anni e tre anni e sei mesi, invece, i due agenti in servizio all’Ufficio immigrazione, Vincenzo Tramma e Stefano Leoni. I difensori parlano di “capri espiatori”, di esecutori che pagano per altri.

Il governo di Enrico Letta si era insediato da meno di trenta giorni, e alla Farnesina c’era Emma Bonino, alla quale chiediamo di aiutarci a ricostruire i fatti.
Appena viene fuori il caso, si scatena una polemica politica in cui entro di striscio, perché per legge gli interni non erano tenuti ad avvertire la Farnesina. Noi veniamo interpellati solo per sapere se la signora Shalabayeva avesse il passaporto diplomatico o no, e rispondiamo che non ci risultava averlo, anche perché ci avevano dato un nome sbagliato. La polemica infuriò su Alfano. Ma io ne vengo investita, e a prescindere dalla polemica, mi muovo subito. Visto l’errore dell’espulsione, io mi attivo subito perché la Shalabayeva possa tornare in Italia sana e salva.

Lo chiama errore?
Chiamiamolo errore, diciamo che non so cosa sia stato. Io sono intervenuta il giorno dopo e ho fatto di tutto per riportarla qui.

Missione compiuta.
Missione compiuta con l’aiuto della rete diplomatica, perché si attivò l’ambasciatore in Kazakistan e trattammo fino a quando la signora Shalabayeva non venne messa, insieme con le figlie, su un aereo per Roma.

Come si mosse, dalla Farnesina?
Nella tarda serata del 31 maggio 2013, venni informata telefonicamente del caso, da parte di esponenti della società civile, e a operazione già avvenuta. Diedi, quindi, inizio a un’incessante azione assieme ai miei diretti collaboratori e ai competenti uffici della Farnesina, che si è mossa essenzialmente lungo tre direttrici: assicurare al meglio la tutela dei diritti della Signora Shalabayeva e di sua figlia; effettuare la doverosa sensibilizzazione in seno al Governo e promuovere la necessaria raccolta di informazioni; dare luogo a tutti i contatti e le attività sul piano esterno resisi necessari a seguito dell’avvenuto trasferimento in Kazakhstan.

Tuttavia le imputarono di non aver espulso l’ambasciatore kazako a Roma. Perché non lo fece?
A parte che tecnicamente non sta al ministro degli Esteri espellere un rappresentante della diplomazia straniera, perché è una prerogativa del Presidente della Repubblica, se io avessi proposto di espellerlo cosa sarebbe successo? Il giorno dopo Astana avrebbe espulso il nostro ambasciatore, lasciandomi senza più alcuna possibilità di riportare Shalabayeva a Roma.

E dunque resistette a tutte le richieste, le arrivò molta pressione?
Da tutte le parti, e perfino da nomi noti. Massimo D’Alema, per citarne uno. E dire che di diplomazia dovrebbe saperne. Ma l’atmosfera era molto tesa.

Tutto si risolve con il ritorno a Roma della donna, nel dicembre 2013, e pochi giorni fa sono arrivate le condanne per chi, vestendo la divisa della Polizia, si è prestato all’operazione.
La lesione del diritto era palese. E le condanne sono arrivate.

Shalabayeva oggi vive a Roma con le figlie, mentre il marito è rimasto a Parigi. Vi siete sentite?
Non so molto delle loro vite, lei mi contatta di tanto in tanto, mi fa sapere di stare bene e più volte ha espresso la sua gratitudine per averla riportata qui. Libera e sicura. Dalla felice conclusione di questa vicenda ho imparato molte cose.

Per esempio?
Che la diplomazia ha molte facce, che bisogna conoscere e saper attivare. Che ci possono essere contatti non segreti ma riservati, esperienza che mi fu molto utile anche per i Marò. E che i soggetti a disposizione sono tanti, in quel caso vi fu un ruolo della Corte dei Diritti Umani di Ginevra.

In questa vicenda che ruolo ha avuto la diplomazia sotterranea di Eni?
Da Ministro non ho avuto contatti con l’Eni, di nessun tipo, durante questa vicenda.

Venne fuori un testimone che si confessò con Report. Si parlò di una regìa coperta, internazionale, per pianificare e realizzare i dettagli del sequestro Shalabayeva a Roma.
Il Kazakisthan è un paese che mette in gioco una serie di interessi, un paese ricco di idrocarburi e povero di democrazia, per molti versi oscuro. Posso dirle quel che penso? Che ci fu chi approfittò di quel particolare momento di vuoto, di passaggio.

Perché di vuoto?
C’era il cambio di governo, noi giurammo a fine aprile, il sequestro avviene il 28 maggio, a meno di un mese dall’insediamento. E proprio nei giorni del sequestro c’è il cambio al vertice della Polizia. Neanche aveva preso possesso dell’ufficio al Viminale che avevo chiesto un dettagliato rapporto ad Alessandro Pansa.

Un rapporto soddisfacente?
Mi ha prodotto dei primi rapporti francamente insoddisfacenti: per due o tre volte gli ho detto che così erano inconsistenti e non trasmissibili.

Responsabilità e omissioni forse più dei suoi sottoposti e dei suoi predecessori.
Probabilmente, ma a me li dava lui ed era a lui che li contestavo.

Aveva reso partecipe il governo della debolezza del dossier presentatole?
Certo e in tutti i modi possibili. Anche prendendo di petto il ministro degli Interni, Alfano, e parlandone con il presidente del Consiglio, Letta. Alla parata del 2 giugno ci troviamo insieme e ne approfitto: «È un fatto gravissimo, dobbiamo muoverci», li sollecito.

Con i servizi segreti aveva parlato?
Io no, suppongo Alfano. Io ho attivato la diplomazia e agito per i canali ufficiali e ufficiosi che hanno poi portato Shalabayeva a tornare a Roma, la settimana di Natale.

Torniamo alla dinamica del sequestro, che fa pensare a quello di Abu Omar. In quel caso la Cia disse: «È ovvio che non si può fare un’operazione del genere, in Italia, senza il coinvolgimento delle autorità italiane».
Immagino, certo. È chiaro che la signora è stata messa su quell’aereo privato che è decollato da Ciampino con la connivenza attiva delle autorità italiane.

È stata organizzata una manifestazione di solidarietà a Palermo per Renato Cortese, che è stato condannato.
Ritengono – e magari è stato così – che le indicazioni venissero da più in alto e che loro erano solo esecutori, ma io questo non lo so. Ritengo che Alfano, come me, appena entrato in funzione, non ne sapesse granché. Il cambiamento di tante funzioni e tante figure in quei giorni aveva creato un po’ di vuoto di potere, in cui si è infilato l’ambasciatore kazako, non di sua iniziativa ma imbeccato da qualcuno.

Una regia segreta. Rimasta ancora tale.
C’è sempre qualcuno che trama. Il compito della politica è essere più forti di chi trama.