È morta l’altro giorno, all’età di 99 anni, Laura del Pio, detta Rina, di mestiere sarta, donna molto popolare nel quartiere romano di Trastevere. Tanti anni fa, nel febbraio del 2001, mi capitò di intervistarla. In quei giorni l’Unità non era in edicola, era in crisi nera e aveva sospeso le pubblicazioni. A Trastevere però mio fratello, Giulio, decise di pubblicare un giornale che si chiamava l’Unità di Trastevere e che ebbe un gran successo. La mia intervista uscì proprio su quel giornale. L’ho riletta ieri, e mi è sembrata per molti versi molto attuale. Magari mi sbaglio. Dategli un’occhiata.
«C’era un amico di papà che girava sempre per casa e gli piaceva chiacchierare con me. Un giorno mi disse: “Rina, con queste idee che hai dovresti venire in sezione e iscriverti al Pci. Tu la pensi come noi comunisti”. Avevo 23 anni, non sapevo niente di politica, non conoscevo il Pci, non avevo mai visto una sezione di partito in vita mia. Però odiavo i preti e i fascisti. Così andai in sezione per la prima volta, e qualche settimana dopo feci la domanda di iscrizione. Mi presero. Da allora la sezione di Trastevere è casa mia. Qualche anno fa, nel ‘96, ho festeggiato i 50 anni di militanza. Vedi questa foto? Sono io, e quello è D’ Alema, che allora era il segretario del Pds e venne alla festa delle mie nozze d’oro col partito. Io sono una compagna di base.
Ho lavorato sempre nel quartiere, in federazione ci sono andata poche volte, a Botteghe Oscure quasi mai. Erano i dirigenti del Pci che venivano sempre qui, adesso lo fanno di meno. Quando c’era la festa del tesseramento veniva sempre D’Onofrio – lo conoscevi D’Onofrio, il mitico Edo, quello che fece il comizio dopo l’attentato a Togliatti? – ti parlo degli anni Cinquanta, anni eroici. Ma anche Petroselli è venuto tante volte. È venuto anche da sindaco. Ho tre figli e sei nipoti e votano tutti per noi, però loro non amano la politica come l’ho amata io, tranne una figlia, Nadia, che fa l’assistente sociale a Rebibbia. Mi ricordo che la prima volta che andai ad una riunione di caseggiato, a piazza Renzi, a casa di una compagna, vidi una fotografia grande, incorniciata, messa come un quadro alla parete. Pensavo che fosse il padre della mia amica, il nonno, chissà. Siccome la guardavo incuriosita, si avvicinò Antonietta e mi chiese sorridendo: lo conosci? Le dissi di no, naturalmente, come potevo conoscerlo suo nonno? Allora lei mi sussurrò all’orecchio, come per non farsi sentire dagli altri: “è il cap … “.
Era Ercoli, cioè Togliatti, e io non avevo mai visto la sua foto né mai sentito il suo nome. Io conoscevo appena il nome di Stalin, ma non sapevo molto neanche di lui. Allora il compagno della federazione, che si era accorto di tutto, senza rimproverarmi per la mia ignoranza si mise a parlare di Togliatti: chi era e chi non era, e cosa aveva fatto e qual era il suo pensiero e tutto il resto. Con me c’erano altre donne, c’erano le “lavannare”, e neanche loro sapevano niente. A quei tempi il partito era anche scuola di politica, di storia, di filosofia … Ci parlarono del Pci, della Russia, del fascismo, della Democrazia cristiana… ».
La signora con cui sto parlando si chiama Laura del Pio, ma è nota in tutto Trastevere come Rina. Abita a vicolo del Cinque, ha 78 anni e vive in questo appartamento trasteverino da quando ne aveva 12. Fa la sarta, anzi – ci tiene – la “pantalonaia’’. Prima stava in affitto, coi suoi; poi 15 anni fa, dopo la morte del marito, lei e i suoi figli hanno comprato l’appartamento. È una casetta di tre stanze in uno dei luoghi più belli di Roma. Alle pareti le foto dei figli e dei nipoti e un po’ di quadri, quasi tutti politici. Ci sono un paio di Calabria, pittore-cult per la sinistra anni ‘60 e ‘70, un quadro di Quattrucci, un manifesto contro Pinochet. Rina è nata a Monterotondo nel 1923, da genitori antifascisti, anticlericali e di vaghe simpatie socialiste. Ha fatto le elementari lì, in paese, poi quando è venuta a Roma è andata subito a lavorare. Niente medie, niente liceo. Faceva la sarta per otto lire al giorno .
«Quando arrivava il sabato e portavo i soldini a mamma, ti assicuro che le facevano piacere. Era dura tirare avanti. Adesso si dice: la crisi, la crisi! Ma non se la ricorda più nessuno la crisi di quegli anni, quando difficoltà economica voleva dire che non c’era da mangiare? Di Monterotondo non ho un gran ricordo. Tempi durissimi. Il mio odio per il fascismo nasce in quegli anni. Una volta, di notte, fecero una retata e portarono via almeno 100 antifascisti. Tutti a Lampedusa, al confino. C’era anche mio nonno e c’era mio zio, il fratello di mia madre. Mio zio faceva il macellaro e ha perduto il lavoro. Quando è tornato non lo ha più ritrovato, ha passato gli ultimi suoi anni ad andare per funghi in modo da trovare i quattrini per campare. Sai quante famiglie ha rovinato il fascismo? Mica solo quelle dei militanti politici. Anche mio padre ha perduto il lavoro. Licenziato per sciopero.
Faceva l’infermiere al Santa Maria della Pietà e partecipò all’ultimo sciopero dell’epoca fascista, nel ‘28. Lo cacciarono. Da allora, un po’ alla volta, per tirare avanti, ci siamo venduti tutto quello che avevamo in campagna. A Monterotondo c’erano molti antifascisti. Se ci vai adesso, proprio all’ingresso del camposanto trovi la tomba di un signore che oggi avrebbe l’età mia, ma allora aveva 17 anni. Passò la sfilata dei fascisti, un sabato, coi gagliardetti e tutto, e la gente doveva fare ala e salutare col braccio teso. Lui non lo fece. Allora un gerarchetto lo provocò: “Ragazzino, saluta e rendi omaggio al duce o ti sparo”, gli disse. Lui non salutò e il fascista lo fece secco con una revolverata. Ma la gente, i ragazzi, secondo te le sanno queste cose? Io penso di no, sennò non staremmo qui a parlare del rischio che vince Berlusconi. Anche a Trastevere, per esempio, io vedo che le cose cambiano. Qui a Trastevere i fascisti non erano mai entrati, e adesso c’è una sezione di Forza Italia. Che dispiacere! Che dici, sbaglio a dire queste cose? Sono settaria? Non stare lì a prendere appunti col taccuino e basta: dimmelo dove sbaglio, no?».
«I periodi più belli della mia vita politica? Non saprei, sono tanti. Gli anni Cinquanta e Sessanta furono bellissimi, ma difficili. Lavoravamo moltissimo per il partito e avevamo in mano il quartiere. Però le prendevamo anche. Ce l’ho prese tante volta dalla polizia, e una volta mi hanno anche portato in questura. Di quegli anni ricordo il rapporto bellissimo con le donne del Pci. Mi ricordo Maria Michetti, la Rodano, la Ciai. Furono belli anche gli anni ‘70, quando vincemmo le elezioni. E poi è stato un grande momento quando D’Alema è diventato presidente del consiglio: un compagno a Palazzo Chigi, che sogno!
Ma io ho anche un grande ricordo del femminismo. Certo c’erano certe cose del femminismo che mi facevano ridere, o che proprio non condividevo. Però l’emancipazione c’è stata, eccome. E vero o no? Io ricordo che mia nonna a tavola non poteva parlare, e doveva obbedire al nonno. Se guardo a quali sono i rapporti tra le mie figlie e i miei generi allora sì che benedico il femminismo. C’è ancora molta strada da fare? Certo, sì, ma ne abbiamo fatta tanta e in fretta in questi anni, non ti pare? Invece il momento più difficile della mia vita politica fu nel ‘53 (sull’anno non ci giuro). Allora lavoravo. per un sarto che era un dirigente del partito socialdemocratico, quello di Saragat. A casa mia c’erano pochi soldi. Pochi davvero. I ragazzi andavano a scuola, e mio marito, che era stato cinque anni in guerra, non aveva ancora trovato un lavoro fisso: faceva il venditore ambulante alla stazione, lo chiamavano “acquafresca”.
Racimolava spiccioli. Quell’anno i saragattiani conquistarono la presidenza della centrale del latte e il mio amico sarto, che sapeva delle difficoltà economiche della mia famiglia, un giorno mi chiamò e mi disse: “Rina, ho un regalo per te. Fa iscrivere tuo marito al partito socialdemocratico e in dieci giorni io te le faccio assumere. Stipendio buono e sicuro, pensione e tutto. D’accordo?”. Non dormii la notte. Come facevo a dir di no? Avevo la responsabilità dei bambini, dovevo pensare alla vecchiaia, era un’occasione d’oro… La mattina mi alzai e andai dal sarto saragattiano. Lo guardai fisso negli occhi e gli dissi: “no amico, grazie”. E me ne andai. A mio marito neanche glielo avevo detto di quell’occasione.
Glielo raccontai tanti anni dopo e lui non si stupì per niente: “Brava Rina – mi disse – hai fatto bene”. Ha continuato a vendere cose alla stazione e 15 anni fa è morto senza lasciarmi una pensione. Tra poco faccio 80 anni e continuo a lavorare da pantalonaia, perché per vivere ho bisogno di lavorare. E sai che c’è: ne sono fiera». «La svolta nel Pci? Dici la svolta di Occhetto? Ero disperata. lo mi dispero sempre quando ci sono le svolte, ma poi mi convinco. In genere è Nadia, mia figlia, a farmi capire le cose. Nel ‘73, quando Berlinguer disse del compromesso storico volevo stracciare la tessera. Non lo feci.
Nel ‘90 volevo passare a Rifondazione. Non lo feci neanche quella volta e oggi sono contenta così: perché Bertinotti è più a sinistra di me? Non credo. Adesso quello che conta è vincere le elezioni. Dici che le perdiamo? No, non possiamo perderle, non ci credo che gli italiani siano così cretini da votare per Berlusconi. Certo quello è potente, ha in mano i giornali, le Tv, le radio… E ora da sei mesi siam pure senza l’Unità! Almeno l’Unità deve tornare subito. Sicuro che torna prima delle elezioni? Sai quante ne ho fatte di campagne elettorali vendendo il giornale? Chissà, forse 30, forse 40. La farò anche stavolta, sì, anche stavolta… ».
