Collaborare col governo? Più Europa resta all’opposizione

L’appello del Capo della Stato alla collaborazione istituzionale ha avuto come esito la prosecuzione di una sorta di commedia degli equivoci, che da una parte rende tutte le opposizioni indistinte (la nostra opposizione non somiglia invece neppure lontanamente a quella di Salvini) e dall’altra misura la “responsabilità” delle minoranze dalla condiscendenza verso le posizioni della maggioranza. La nostra responsabilità, invece, è di continuare a sostenere onestamente, nel dialogo istituzionale, le ragioni della nostra opposizione risoluta e senza rimpianti al governo demo-populista. Pur nella nostra incolmabile distanza con il fronte sovranista, anche nelle sue attuali posizioni, troviamo difficile capire la sostanza politica e programmatica della eventuale “unità” tra il Governo e le altre opposizioni.

Nella politica italiana, infatti, è trasversalmente diffusa la convinzione che la pandemia segni un “cambio di paradigma” delle politiche di bilancio e che le strategie di contrasto degli effetti sanitari e economici del Covid-19 non patiscano il peso delle scelte passate e non portino la responsabilità delle conseguenze future. Se l’unità si dovesse sostanziare nella condivisione di una corsa frettolosa e non ragionata a nuovo debito, senza alcuna valutazione di costo/opportunità, tale unità produrrebbe svantaggi ulteriori destinati a manifestarsi nei prossimi mesi. Al contrario di quanto alcuni sembrano pensare, infatti, le fragilità economiche e di bilancio con cui i diversi paesi sono entrati nella tempesta del Covid-19 ha influenzato la loro capacità di risposta e le scelte che oggi si compiono, proprio perché sono tutte a debito, hanno conseguenze a lunghissimo termine, i cui costi sosterranno i contribuenti di domani.

Facciamo tre esempi molti chiari e purtroppo impietosi che valgono sia per i “costi del prima” sia per le “conseguenze del dopo”.
Uno – Nel 2019 in Italia, grazie alla cosiddetta quota 100, sono andati in pensione 7225 dipendenti del settore sanitario (non solo medici e infermieri). Questo ha sguarnito le strutture ospedaliere e territoriali che si sono trovate impreparate di fronte all’emergenza, e le ha costrette a riarruolare una parte dei medici pensionati per reggere l’urto della pandemia. Nonostante questo in molte aree del paese e per molte specialità manca personale sanitario.

Due – Negli stessi anni in cui ci si esercitava in anticipi pensionistici e in altre misure di pura compravendita del consenso, il nostro sistema universitario ha lasciato circa un terzo dei medici che si laureavano e abilitavano fuori dalla formazione specialistica (in modo del tutto incoerente con i fabbisogni stimati) e malgrado l’infornata straordinaria di quest’anno, motivata proprio dall’emergenza e dall’esigenza di impiegare in assenza di specialisti gli stessi specializzandi, ancora circa 10.000 medici sono imprigionati in quello che viene eufemisticamente definito “imbuto informativo”.

Tre – Come è ormai noto, il Governo ha scelto di non accedere alla linea di credito pandemico del Mes per l’obiezione del Movimento 5 Stelle, che dopo le improvvide parole del Presidente del Parlamento europeo Sassoli ha dichiarato chiusa la questione. Al di là di ogni considerazione sulla necessità di aprire questa discussione parlamentare sul Mes sempre richiesta e sempre rinviata dal Pd, questa scelta, se confermata, costerà ogni anno all’Italia centinaia di milioni di euro in più di interessi sul debito pubblico, ampiamente eccedenti quelli (circa 230 milioni all’anno) necessari ad assicurare un corso di specializzazione a ogni medico laureato.

È evidente dunque che la scelta di privilegiare politiche di welfare parassitario, come quota 100, e di obbedire ai veti ideologici del M5S sugli strumenti europei, scarica sul presente la conseguenza delle scelte passate e sul futuro la conseguenza delle scelte presenti. È altrettanto evidente che il deterioramento del sistema sanitario, cui si deve parte dei dolorosissimi costi umani della pandemia, è anche un prodotto politico, non un caso o solo l’effetto di una calamità naturale. La necessità di politiche di bilancio espansive in questa fase (c’è chi la nega?) non può divenire l’alibi per l’indisciplina finanziaria e l’irresponsabilità politica. Anche a fare debito ci vuole rigore. E proprio per usare le ampie risorse che l’Ue mette a disposizione con il Next Generation Eu ci vuole un sovrappiù di scrupolo e di onestà nel valutare gli effetti attesi sul medio e lungo periodo.

I prossimi passaggi parlamentari – un nuovo scostamento, la legge di bilancio e i progetti del Recovery tuttora sconosciuti, su cui lo stesso Conte ha finalmente ammesso un ritardo dell’esecutivo – dimostreranno se la maggioranza ha l’intenzione di invertire la tendenza rispetto alle scelte del passato o solo l’interesse a consolidare con i finanziamenti e i contributi europei il consenso del Governo. Discutere di “collaborazione istituzionale” e di rapporto costruttivo tra maggioranza e opposizione in astratto non ha alcun senso. E peggio ancora sarebbe se il prossimo bilancio e il programma sul Recovery diventasse una enorme “legge mancia”, come si definiscono nel gergo parlamentare i provvedimenti che mettono a disposizione di tutti i partiti e gli eletti un gruzzoletto più o meno grande per beneficiare i propri elettori. La nostra forma di sincera collaborazione nei confronti dell’esecutivo è quella di continuare a ribadire la nostra opposizione a tutto questo. Il nostro ruolo sarà di fare proposte di metodo e di merito su riforme e investimenti del Next Generation Eu: le risorse vanno spese, come dovrebbe essere chiaro dalle parole stesse, non per le prossime elezioni ma per le prossime generazioni.