Toh, chi si rivede! Il giudizio di primo grado si è chiuso, quello di appello procede verso la sentenza, ma il pm resta lo stesso. Succede per il processo sui fatti di Bagnoli, l’ex area industriale di Napoli che da trent’anni attende di essere rigenerata. A febbraio 2018 il primo round si chiude col Tribunale che condanna sei imputati accogliendo le tesi del pm Stefania Buda. Pochi mesi più tardi comincia l’appello e chi rappresenta l’accusa? Ancora una volta Buda, nel frattempo trasferita alla Procura generale della Corte d’appello partenopea. Possibile che un imputato venga incriminato dallo stesso pm nel processo di primo grado e in quello di appello? Sì, secondo la legge italiana, sebbene ovvie ragioni logiche, prima ancora che di garantismo e di tutela dei diritti dell’imputato, suggeriscano una diversa soluzione.
La vicenda riguarda la bonifica dell’ex Italsider. O, meglio, la (presunta) mancata bonifica. Già, perché quell’area non sarebbe mai stata risanata nonostante lo stanziamento di cento milioni di euro. Anzi, il rimpallo di responsabilità tra società Bagnoli-Futura, Comune, Arpac e Ministero dell’Ambiente avrebbe determinato uno spreco di denaro pubblico e aggravato l’inquinamento di quella che fino al 1992 fu sede di uno dei maggiori stabilimenti siderurgici nazionali. Eccola, la ricostruzione delineata durante il processo di primo grado da Buda, all’epoca sostituto procuratore di Napoli. Risultato: condanne da due a quattro anni di reclusione per sei persone, accusate a vario titolo di truffa e disastro colposo. Tre anni al notaio Tino Santangelo, ex vicesindaco di Antonio Bassolino, poi presidente di Bagnoli-Futura S.p.A., società a capitale interamente pubblico.
L’impianto accusatorio, in appello, non cambia. E come avrebbe potuto, visto che nel ruolo di sostituto procuratore generale c’è lo stesso magistrato che ha agito da pm in primo grado? Nessuna meraviglia, dunque, dinanzi alla conferma delle pene stabilite dal Tribunale che Buda ha invocato nella sua recente requisitoria. Sia chiaro, è tutto in regola: sebbene incardinato nell’ordinamento giudiziario, il pm rappresenta una delle parti del processo. Ed è perfettamente legittimo che il procuratore generale affidi il compito di sostenere l’accusa al sostituto che, tra la conclusione del processo di primo e l’apertura di quello di secondo grado, sia stato trasferito alla Corte d’appello. Proprio questo è avvenuto nel caso di Bagnoli-Futura, con Buda chiamata ancora una volta a svolgere la funzione requirente in quanto già a conoscenza di tutte le sfumature di una vicenda particolarmente complessa.
Ma queste ragioni di “economia organizzativa” si conciliano col diritto di difesa? La domanda non è peregrina: è ovvio che un condannato in primo grado si auguri che, in appello, il compito di vagliare la sua posizione spetti a un diverso pm. In caso contrario (e Bagnoli-Futura lo insegna) è inevitabile che il magistrato invochi la conferma delle condanne chieste e ottenute in primo grado. Ecco perché Santangelo, assistito dagli avvocati Massimo Krogh e Giuseppe Fusco, ha per lungo tempo meditato di sollevare l’eccezione di legittimità costituzionale. Ciò che l’ex vicesindaco di Napoli ha coraggiosamente fatto, invece, è rinunciare alla prescrizione: «Sono convinto della mia innocenza, in 47 anni di professione non mi è mai stata mossa alcuna censura. Adesso, a difesa della mia onorabilità, voglio un chiarimento definitivo. Se i giudici mi riterranno nuovamente colpevole, non esiterò a rivolgermi alla Cassazione. Intendo morire da innocente o da condannato, non da prescritto». Secondo la difesa, inoltre, da nessun atto del processo di primo grado risulta che Santangelo abbia perseguito interessi personali. Il pm Buda non l’ha pensata allo stesso modo. Come si regoleranno i giudici della Corte d’appello?
