Coronavirus e socialismo, gli incubi di Trump diventano realtà

Oggi quattordici Stati americani scelgono i delegati democratici nel Super Tuesday per dare un volto all’uomo che a novembre sfiderà Donald Trump, con qualche novità importante: il ragazzo d’oro Pete Buttigieg ha gettato la spugna per non dissanguare le forze – ha detto – che devono eliminare il socialista Bernie Sanders. Buttigieg è stato su questo punto molto deciso e si è battuto in ogni dibattito con Sanders, costringendo il candidato socialista, uomo passionale e di eloquenza rotonda, a eccedere, a urlare, a mostrare alcune sue debolezze caratteriali. Ma quando il giovane Pete ha visto che il sostegno elettorale non era più quello sperato, pur di non far vincere Sanders, ha lasciato il campo.

L’altra novità, che oggi verrà messa alla prova, è che il candidato clintoniano e obamiano nonché ex vicepresidente Joseph R. Biden ha vinto un round e dunque torna in corsa dopo l’inattesa vittoria in South Carolina. Ma intanto il coronavirus si infiltra nel grande meccanismo dell’America trumpiana minacciando di sabotare, frenare e persino bloccare l’economia grazie alla quale tutti sembrano cinicamente felici: sia i ricchi sempre più ricchi, che i poveri sempre meno poveri, ma in una dinamica instabile come la nitroglicerina.

L’America intanto si sgancia giorno dopo giorno dal resto del mondo: si ritira da tutti i vecchi scenari di guerra lasciando l’Afghanistan dopo aver lasciato la Siria a russi e turchi, tenendosi alla larga dall’Europa che nell’immaginario collettivo è la Germania. Intanto, affronta la pandemia del coronavirus come un fatto tecnico gigantesco, un mostro amministrativo. Incredibilmente, l’ottava stagione di Homeland che tutta l’America guarda la domenica sera è in perfetta sintonia con il Pentagono e il Dipartimento di Stato, mostrando il distacco americano dagli scenari nei quali era alleata con Israele: nulla di ideologico, è solo che l’America si è ritirata come fanno gli oceani prima dell’ondata distruttiva dello tsunami.

Per me questo distacco è anche fisico e personale e ne accenno soltanto perché essere testimoni aiuta a capire. Ho due figli, Lars e Liam che vivono in Florida e sappiamo tutti e tre che non ci rivedremo presto, Non sappiamo in realtà se ci vedremo mai più. Dunque, ci telefoniamo disperatamente e ridiamo moltissimo perché ridere in tempi di apocalisse è un ottimo antidoto. Ne approfitto per chiedere informazioni di vita quotidiana. Che cosa si fa lì da voi? Il più grande risponde che sulle high-way americane marciano convogli di enormi contenitori che trasportano tonnellate di impianti sanitari destinati a migliaia di “emergency rooms”, macchine per respirare, camere in isolamento, materiali di difesa per il personale medico, come se ci fosse la guerra mondiale, per nuovi ospedali da campo. Il vicepresidente Mike Pence ha la delega di Donald Trump il quale li riceve dai massimi organismi sanitari. Il Paese si sente fortissimo, dicono i commentatori, e nessuno ha per ora l’impressione che il governo menta. Il governo ha deciso che il messaggio debba essere questo: una tremenda epidemia è realmente in arrivo, ma noi eravamo da tempo pronti ad affrontarla e adesso possiamo dispiegare tutte le nostre forze e dire alla gente che possono sentirsi sicuri: nessuno sarà abbandonato.

È singolare come in Italia si seguitino a dire delle canoniche idiozie sugli Stati Uniti come la famosa leggenda secondo cui se ti prende un infarto, prima ti chiedono la carta di credito e poi chiamano l’ambulanza, per cui puoi anche crepare. È totalmente falso. E adesso c’è quest’altra notizia stupidina secondo cui uno che ha preteso che gli facessero un tampone di controllo soltanto per cavarsi lo sfizio ed è risultato del tutto sano, si è visto presentare un conto di oltre duemila dollari che è il costo di una operazione che deve essere condotta con costose regole di sicurezza per gli operatori. Se le cose stanno come sembra da tutta la stampa e dalle televisioni, gli Stati Uniti si apprestano ad affrontare l’emergenza come una guerra e non come una influenza e procedono a ranghi serrati. Il coronavirus è comunque l’elemento del nuovo panorama, ma i democratici dopo un primo momento hanno rinunciato ad attaccare l’amministrazione e non si registrano per ora discussioni politiche sul mondo di affrontare l’epidemia nelle grandi kermesse di oggi in quattordici stati a caccia di centocinquantatré delegati democratici che dovranno scegliere il candidato alla Presidenza.

Il bravo ragazzo Pete Buttigieg si è ritirato dalla corsa, come abbiamo detto, e lo ha fatto drammatizzando il pericolo di una possibile vittoria di Bernie Sanders, che l’establishment democratico moderato considera la peggior sciagura che possa accadere all’America. Per la stessa ragione, Donald Trump adora Bernie e si augura che sia lui l’avversario da battere a novembre contando sul fatto che gli Stati Uniti, benché lacerati e divisi, benché sanguinanti per uno scontro politico che ha provocato molto frastuono e poco sangue (come si è visto dalla fallita manovra dell’impeachment) non possono seriamente prendere in considerazione una politica di altissime tasse per un welfare che finora, checché se ne dica in Europa, costa molto caro ma funziona alla maniera americana, che non è quella europea e che ha già visto fallire nei fatti – il fallimento decretato dagli utenti – le riforme obamiane. La cometa Buttigieg è passata, ma lasciando tracce: il New York Times è entusiasta di questo giovane leader che ha saputo non fare del suo orientamento di genere una carta d’identità.


Ma nell’ultima tornata aveva perso malamente e dunque il famoso “bridge” fra generazioni che avrebbe potuto unire un’America modernissima e pacata, colta e riformista fra generazioni, è saltato. Buttigieg, come abbiamo scritto quando apparve, è il magnifico outsider buono per un’altra volta. Troppo outsider – è soltanto il sindaco di una cittadina da centomila abitanti – troppo giovane con i suoi 38 anni e poi il fatto che è gay. Come era da aspettarsi la sua omosessualità – è sposato con un musicista – non è stata attaccata dai conservatori, ma messa in graticola dalla sinistra, dai radicali che si sono massacrati in dibattiti infiniti e accaniti su dibattiti per stabilire “quanto” fosse gay e se fosse degno di vestire i panni del campione dell’omosessualità.

È così che va avanti come una locomotiva nella notte il vecchio Bernie che non è un democratico di sinistra, ma un socialista di sinistra con dichiarate simpatie per il mondo che fu comunista, e che in questo momento attrae e polarizza tutte le pulsioni del radicalismo di sinistra. Un radicalismo, il suo, che va molto oltre Obama (che del resto non era un radicale) e gli altri candidati democratici in lizza, e cioè Biden che ha fatto il primo pieno, Bloomberg che getta montagne di soldi sul tavolo e che dice di voler combattere fino alla fine anche se non prendesse molti voti, la Warren che non riesce a togliersi di dosso la macchia di essersi spacciata per una discendente dei nativi pellerossa e invece non era vero, e poi le altre due candidate donne Klobuchar e Gabbard. Per quanto possiamo capire dell’America, Donald Trump ha la vittoria in tasca se e soltanto se il Paese seguita a correre, a fare profitto, a offrire centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro alle classi diseredate e ai neri d’America mai così ricchi e con lavori mai così remunerativi e stabili.

Ma il coronavirus adesso insidia questo paradiso trumpiano. Wall Street ha avuto crolli che hanno riportato il mercato alla crisi di nervi del 2008 anche se ieri i titoli sono svettati anche nel mercato tecnologico. E poi, l’oro – persino il bene rifugio per eccellenza – si è deprezzato. Se la Casa Bianca non riuscirà a mandare in scena qualche effetto molto speciale, il trono di Donald Trump rischia di vacillare. E siamo al più sconcertante paradosso, benché ipotetico, sulla scena del prossimo futuro, e che si regge ovviamente su una serie di “se” ipotetici, ma totalmente realistici.
Dunque, se il Big Tuesday di oggi incoronasse di nuovo Bernie Sanders mantenendo in scacco gli altri candidati, se la crisi mondiale legata al coronavirus diventasse una pandemia anche economica americana oltre che cinese, potremmo assistere all’aurora iper-boreale di un mondo stranissimo in cui l’ex Unione Sovietica è diventata uno Stato iper-capitalista sregolato e gli Stati Uniti d’America potrebbero diventare una confederazione socialista con tendenze più leniniste che obamiane.

Su questo scenario è possibile valutare la rinuncia di Pete Buttigieg: il giovane, intelligente e preparato candidato democratico ha speso tutte le parole della sua campagna per contrastare Sanders non per antipatia personale, tutt’altro, ma per render chiaro agli elettori democratici che una scelta socialista con Sanders distruggerebbe il patrimonio ideale e creativo americano, senza raggiungere alcun obiettivo, se non una decadenza rapidissima. Buttigieg si è ritirato proprio per consentire ai democratici più liberali di battere Sanders considerato un illiberale visionario. L’America sta cambiando pelle: abbraccia i talebani, dimentica l’undici settembre, cerca di prendersi il Regno Unito come cinquantunesimo Stato, mantiene sotto controllo la Cina con cui ha un rapporto incestuoso e brutale. Trump per ora ha incarnato il nuovo corso, anzi l’ha determinato. Quale sogno americano dovrebbe avere il suo avversario democratico? Per ora, nessuno l’ha detto chiaramente e speriamo che il grande martedì che è oggi, permetta di capire di più il moderno alternativo, sia di Sanders che degli altri.