La sindrome della “Trumpcession” sta terremotando i mercati borsistici. Il neologismo adottato da alcune testate giornalistiche globali, come The Guardian e il Times, indica la recessione che il nuovo presidente americano sta inducendo con le sue azioni imprevedibili e, in alcuni casi, masochistiche. Nella giornata di ieri, infatti, i principali indici azionari europei hanno chiuso in netto calo dopo l’ennesimo annuncio di Donald Trump. Il numero uno della Casa Bianca, infatti, continua imperterrito nella sua politica di introduzione di forti dazi. Ha puntato ancora una volta il Canada, Paese nei confronti del quale non ha usato mezze misure: “Ho incaricato il mio Segretario al Commercio di aggiungere una tariffa aggiuntiva del 25 per cento, arrivando quindi al 50 per cento, su tutto l’acciaio e l’alluminio in arrivo negli Stati Uniti dal Canada”. E ancora: “Se il Canada non eliminerà le sue tariffe contro di noi aumenterò sostanzialmente, il 2 aprile, i dazi sulle auto in arrivo negli Stati Uniti, il che, essenzialmente, farà chiudere definitivamente il settore di produzione automobilistica in Canada”.
Indici di Borsa
La reazione dei mercati è stata immediata. Dopo la giornata nera di lunedì 10 marzo, anche ieri la Borsa di Milano ha chiuso molto pesante segnando un meno 1,38 per cento. Non sono andate meglio le cose nel resto d’Europa: il Dax di Francoforte e il Cac 40 di Parigi hanno ceduto l’1,3 per cento, mentre l’Ibex35 di Madrid è sceso dell’1,5 per cento. Ad essere colpite tutte le azioni che si rifanno al settore dell’auto. Basti pensare che Stellantis ha lasciato sul tappeto il 5,22 per cento. L’ex gruppo Fiat ha registrato una perdita cosi pesante perché le minacce di Trump la colpirebbero direttamente. In Canada, infatti, Stellantis conta due impianti di assemblaggio, una struttura produttiva e un centro di ricerca e sviluppo: asset che sono al servizio di tutto il mercato nordamericano.
Anche le azioni delle case automobilistiche quotate a Wall Street hanno chiuso in netto calo. Il motivo è facile da comprendere. La filiera produttiva del comparto, infatti, non è localizzata in un solo Paese ma distribuita in quella che si chiama “catena globale del valore”. Ciò significa che le case produttrici americane realizzano parti di auto in Canada, in Messico, in Europa e in Cina e poi rivendono negli Usa. La politica dei dazi di Trump sta causando scompiglio nonostante l’obiettivo del Presidente sia riportare le produzioni negli Stati Uniti. Dalla Casa Bianca, però, non hanno fatto i conti con due elementi. Il primo è che per produrre negli Usa c’è bisogno di trasferire stabilimenti sparsi in tutto il mondo. Il secondo è il costo di una simile operazione. Le corporation, infatti, producono all’estero per abbattere i costi. Gli americani saranno felici di pagare i loro Pick Up il 25 per cento in più?
Reazioni
La politica economica a stelle e strisce sta causando molte preoccupazioni. Basti pensare, ad esempio, al numero uno di Jp Morgan, Jamie Dimon: “America First va più che bene ma se ci ritroveremo da soli perché abbiamo lacerato il mondo, avremo commesso un grave errore soprattutto per gli Stati Uniti”. Dal Canada, intanto, non stanno con le mani in mano a subire le politiche di Trump. La prima reazione è avvenuta nei giorni scorsi con l’annuncio, da parte dell’Ontario, di dazi del 25 per cento sull’energia elettrica venduta negli Stati Uniti. Il governo di Ottawa fa sapere che “reagiremo con fermezza e non ci faremo intimidire dalle minacce e dalle politiche americane”. Siamo solo all’inizio di un periodo molto turbolento.
