Cosa era l’apartheid, attenzione alla cultura della segregazione

I processi migratori non dovrebbero essere usati strumentalmente per esacerbare un infruttuoso scontro politico, per radicalizzare e normalizzare un odio nei confronti di una parte della popolazione volutamente e strumentalmente stigmatizzata, per nascondere una mancanza di identità politica o di una visione della società, né tantomeno per alimentare e polarizzare dannose dinamiche di tifoserie opposte sul corpo di esseri umani.

Il varo delle leggi sui processi migratori dovrebbe essere fatto con serietà, realismo, responsabilità, competenza e umanità perché si tratta di legiferare sulle vite di esseri umani che fuggono da guerre, fame, carestie, crisi climatica e conflitti di varia natura. Come diceva Antonio Gramsci,chi non è capace di costruire ipotesi, non sarà mai scienziato. E quando il politico sbaglia ipotesi, di mezzo ci va il dolore, la sofferenza, le umiliazioni degli uomini e delle donne” indipendentemente dal colore della pelle e della provenienza.

Per questo, chi ha il potere di legiferare deve affrontare questo delicato tema con il dovuto senso di responsabilità che impone il dovere di Stato senza cedere a superficiali slogan ma adoperandosi in modo strutturale e olistico basandosi su una chiara identità politica e una netta visione della società. Per fare questo occorre dare sempre, nella sana dialettica politica ed intellettuale, la giusta centralità al tema dell’immigrazione sottraendolo alle dinamiche strumentali di convenienza che, a seconda delle stagioni politiche, viene trattato con intensità differente.

In questi ultimi giorni, si dibatte sul fatto che il Governo Meloni abbia deciso di svuotare una delle tre forme di protezione riconosciute ai richiedenti asilo. Prima di addentrarsi in questo dibattito, occorre tuttavia ricordare che lo Stato Italiano non concede la protezione ma si limita solamente a riconoscerla. Sono le condizioni de iure che conferiscono lo status di rifugiato. Al riguardo, la legge italiana prevede tre distinti istituti per riconoscere la protezione a chi scappa. La prima è “lo status di rifugiato”, la seconda è “la protezione sussidiaria” e la terza è “la protezione speciale” che il Governo Meloni vorrebbe restringere, di fatto abolendola. Quest’ultima, istituita in sostituzione della protezione umanitaria abolita dai Decreti Sicurezza di Salvini durante il Governo “Conte I”, è stata successivamente ripristinata per rimediare ai danni causati da questi decreti, tuttora in vigore, e per tutelare il diritto al rispetto della vita privata e famigliare.

Abolire la protezione che tutela “il diritto al rispetto della vita privata e familiare” (previsto e tutelato dall’art8 CEDU) di chi scappa equivale di fatto ad abrogare il terzo istituto di protezione previsto dall’ordinamento giuridico del nostro Paese ed assimilabile a diversi strumenti esistenti in vari paesi europei. Purtroppo, questa miope scelta politica del Governo porterà molte conseguenze per il nostro Paese sia in termini umanitari e di sicurezza. Tra le varie ripercussioni ci sarà l’aumento dei dinieghi da parte delle commissioni territoriali, l’incremento dei ricorsi che ingolferanno ulteriormente i già oberati tribunali, l’allungamento oltre misura del tempo di permanenza nei centri di accoglienza, la crescita dei numeri delle persone rinchiuse nei Centri di Permanenza e di Rimpatri (CPR) che dovrebbero essere chiusi, e l’ingrossamento delle fila del numeroso esercito degli invisibili.

Il Governo, oltre alla propaganda del “blocco navale” e dei “porti chiusi”, sembra non avere una politica seria per governare i processi migratori. Facendo un’attenta analisi dei provvedimenti e del linguaggio usato finora dalla maggioranza, sembra che l’obiettivo primario sia quello di ghettizzare il “diverso”, attraverso una segregazione amministrativa, e di farlo diventare capro espiatorio del malessere economico degli italiani. Purtroppo, bisogna riconoscere che questa politica della segregazione amministrativa è la filosofia politica che da tre decenni fa da trait d’union in larga parte dell’iniziativa politico-legislativa in materia di immigrazione. È una forma di costruzione sociale che riduce la vita sociale e lavorativa del migrante in una sorta di gabbia burocratica accompagnata da un apposito apparato amministrativo e che di lui fa un sub-umano.

Per cui è possibile ad esempio trattenerlo in un CPR senza aver commesso alcun reato sanzionabile sul piano penale, perché ad essere punito è il suo essere e non ciò che fa. La stessa cultura e filosofia di deriva razzializzante e classista è alla base della legge Bossi Fini voluta dalla Destra. L’obbiettivo di questa legge, ancora in vigore nel nostro Paese dal 2002, è quello di ghettizzare e dominare socialmente, culturalmente, politicamente ed economicamente una parte della popolazione.

La cultura della segregazione è stata uno dei tratti del sistema apartheid nel Sud-Africa subito anche da Nelson Mandela. Un sistema voluto dal Partito nazionale nel 1948 ed imposto ai neri e a tutte le popolazioni considerate non-bianche relegandoli ai margini dei centri urbani. Una politica, quella dell’apartheid che vuol dire “separare”, che si fondava su un sistema istituzionalizzato di controllo spaziale e di repressione attraverso una serie di leggi segregazioniste.

Ci vorrà una lunghissima e durissima lotta che porterà alla sconfitta nel 1991 di questa politica di accanimento razzista attraverso il diritto all’elettorato attivo e passivo per i neri e con l’elezione di Nelson Mandela a presidente della Repubblica nel 1994. Purtroppo, in un contesto di labilità della memoria e del riduzionismo storico, occorre vigilare con fermezza affinché la politica dell’accanimento e della segregazione amministrativa non producano fenomeni morbosi con forme evidenti o latenti di deriva razzista e discriminatoria nei confronti del nemico pubblico di turno. In questo caso dei richiedenti asilo naufraghi.

La vigilanza deve essere rafforzata soprattutto in un momento in cui il nostro Paese si accinge a festeggiare la festa della Liberazione del 25 aprile. Bisogna ricordare che governare non è schiacciare il “diverso” ma è consentirgli di (Re)esistere e di emanciparsi nel solco dei valori e principi di uguaglianza e di solidarietà che incarnano la Carta costituzionale. È proprio per questo motivo che presenterò una proposta di legge, messa a punto con l’ausilio di esperti, nell’ottica di rimettere al centro la dignità della persona. Questa proposta terrà insieme anche il tema della giustizia sociale perché si tratta di argomenti indissolubili.