Detenuti votate, la libertà è partecipazione: i giustizialisti se ne faranno una ragione

Le sbarre di ferro del carcere possono imprigionare il corpo, non devono fare lo stesso con la mente, con le idee, con i diritti di chi ha sbagliato e sta scontando la sua pena. L’Italia, infatti, fa parte di quei Paesi che non negano in modo assoluto la possibilità di votare ai detenuti (come invece succede in Bulgaria e nel Regno Unito), ma nella maggior parte dei casi tale diritto si considera soltanto sospeso e questo avviene solo per alcune categorie di reclusi: per chi è condannato all’ergastolo e per chi deve scontare una pena superiore a cinque anni. Tutti gli altri, quindi, possono votare? La risposta è sì. E quindi… detenuti votate! Votate! E votate! Sappiamo già che giustizialisti e forcaioli a questo punto dell’articolo saranno già caduti dalla sedia, ma lo dice la legge, non noi, che i detenuti possono e devono votare. È un diritto e un dovere civico. Il carcere serve (o almeno dovrebbe servire, ma questa è un’altra storia) a rieducare, a reinserire chi ha sbagliato nella società, ecco perché è importante che anche loro contribuiscano a cambiare la società nella quale ritorneranno a vivere.

«Andate a votare, esprimete la vostra preferenza di voto, divenendo così cittadini attivi – afferma il garante regionale dei detenuti Samuele CiambrielloSarebbe un errore madornale non recarsi alle urne, il voto è un diritto e un dovere sacrosanto per tutti i cittadini; è l’espressione massima della democrazia. Anche i detenuti, chiaramente coloro su cui non pende un’interdizione dal diritto di voto, possono e devono esercitare questo diritto/dovere». Ma per un recluso qual è l’iter da seguire per poter votare? Il detenuto che desidera esprimere il suo voto deve fare una istanza, considerata valida fino a tre giorni dalle elezioni, al sindaco del suo Comune che, una volta appurato che il richiedente ha diritto al voto, spedisce al carcere il certificato elettorale. A quel punto viene instituito un “seggio speciale” all’interno del carcere. «Mi dispiace solo che le procedure per accedere al voto negli Istituti di pena sono farraginose, lunghe, complesse e che i detenuti siano poco informati sui loro diritti e non sanno nulla rispetto alle modalità di come esercitarli – afferma Ciambriello – I politici, pur avendo la possibilità di entrare in carcere per ispezione e controlli, non lo fanno. Il vento che spira è assai preoccupante: il “populismo penale” si coniuga con il “populismo politico” e così si evita di parlare di carcere».

Ma le carceri esistono, esiste l’inferno in terra ed è per questo che è importante che i detenuti chiedano di poter votare. «L’invito ai detenuti è di esprimere la propria idea politica – ribadisce Ciambriello ai direttori degli istituti di pena di avviare una giusta informazione sulle modalità di voto, così da preparare per tempo tutta la documentazione necessaria per poter barrare un simbolo. Anche se privati della libertà, i detenuti possono contribuire alla formazione del Parlamento. Devono essere consapevoli del fatto che anche loro possono essere attori dei processi di cambiamento e non semplici spettatori. Solo esercitando il diritto al voto, però, possono essere protagonisti – conclude il garante –chi non lo fa, non potrà proferire parole di lamentela sulle condizioni delle carceri e più in generale del nostro Stato, perché decidere di non votare equivale ad ammettere di non voler partecipare». E se guardiamo alle precedenti elezioni, i numeri non sono per niente confortanti. Ecco perché è importante che si parli di politica in carcere e ancor di più che la politica parli di carcere. Alle elezioni Europee del 2019 l’affluenza è stata quasi pari allo zero. Hanno chiesto di poter votare due detenuti del carcere di Aversa, uno del carcere di Salerno, sette in quello di Secondigliano. Nel 2016, invece, in Campania parteciparono alle elezioni Amministrative solo nove detenuti. Votate, perché libertà è partecipazione. Anche se si vive ancora in pochi metri quadri circondati da sbarre di ferro.