Le sbarre di ferro delle celle separano i detenuti da quello che c’è fuori. Dovrebbero avere una funzione rieducativa con l’obiettivo di reinserirli nella società. Ma fanno molto altro, cioè li separano dai loro diritti e li inducono a credere di non averne più, perché l’arrendevolezza di fronte all’indifferenza di quasi tutti è più forte della consapevolezza di essere uomini e, come tali, titolari di una posizione giuridica all’interno di una comunità. La percentuale dei detenuti che esprime il proprio voto è bassissima. Indice del fatto che ai reclusi non interessano le sorti della società libera nella quale un giorno dovranno tornare. Società che nel frattempo si è dimenticata di loro.

La società sì, ma anche e soprattutto la politica. «I detenuti non sono incentivati a votare innanzitutto perché nessuno si occupa di loro – spiega Annamaria Ziccardi, presidente della onlus Carcere Possibile – I parlamentari, unici autorizzati ad entrare in carcere liberamente, visitano molto di rado quelle strutture, tranne chi ha una storia nei radicali». I politici girano la faccia dall’altra parte davanti a carceri sovraffollate che cadono a pezzi, suicidi che aumentano di anno in anno, mancanza di agenti penitenziari e di psicologi che dovrebbero seguire i reclusi ritenuti a rischio e un’idea sempre più punitiva e meno rieducativa della pena.

«La mancata riforma penitenziaria, le misure carcerocentriche attuate, sicuramente non correggono la disaffezione dei detenuti verso il voto – dice Zaccardi – Nessuno ha interesse ad andare a fare, con le dovute autorizzazioni, campagna elettorale in carcere perché i detenuti sono considerati di scarso interesse politico». Assenza della politica e dell’amministrazione, ma anche mancanza di cultura alla base della scarsa attenzione dei detenuti al voto. «Non parlerei di decisione di non votare, ma di mancanza di informazione su tale possibilità – spiega Riccardo Polidoro, responsabile dell’osservatorio carcere dell’unione delle camere penali italiane – La maggior parte dei detenuti non sa di poter esercitare tale diritto sia per ragioni culturali, quindi non lo fa per ignoranza, sia perché l’amministrazione penitenziaria e gli stessi politici non hanno alcun interesse al loro voto. L’amministrazione perché deve impegnarsi affinché il voto sia espresso, i politici perché una campagna elettorale che abbia per oggetto anche il voto nelle carceri sarebbe purtroppo impopolare».

Non solo, secondo Polidoro l’iter per fare richiesta di votare non è poi cosi semplice. «Le criticità sono molte – spiega – Innanzitutto il meccanismo è troppo burocratizzato e ha tempi lunghi, per tale ragione non sempre si riesce a consentire al detenuto di votare. Ma quella più grave è la disinformazione generale che coinvolge tutto il sistema». E non solo. «I problemi per il detenuto che vuole votare sono molteplici – sottolinea Polidoro – Innanzitutto sono organizzativi per la struttura che lo ospita. Non ha poi un vero referente politico per i suoi innumerevoli diritti quotidianamente non rispettati e, pertanto, l’espressione del voto non è facile».

Come rimediare? «Deve cambiare l’approccio culturale all’esecuzione della pena – conclude Polidoro – Lo Stato deve favorire il voto nelle carceri e la politica esprimere le proprie idee anche dentro le carceri, dove si deve consentire ai candidati di chiedere il voto in base a un programma che veda in prima linea il rispetto dei principi costituzionali».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Affascinata dal potere delle parole ha deciso, non senza incidenti di percorso, che sarebbero diventate il suo lavoro. Segue con interesse i cambiamenti della città e i suoi protagonisti.