Tra i temi “desaparecidos” di questa strana campagna elettorale c’è sicuramente il carcere. Per cui ringrazio “Il Riformista” per aver tenuto vivo un dibattito che altrimenti sarebbe rimasto solo in qualche chiacchierata a margine delle elezioni.

Se dobbiamo prender per buona l’affermazione di Dostoevskij secondo cui “il grado di civilizzazione di una società si può misurare entrando nelle sue prigioni”, allora dovremmo dichiarare bancarotta. Il carcere è un grande fallimento, perché incapace strutturalmente di “rieducare” e di rendere l’intera società più “sicura”. Anzi, il carcere è una fabbrica di criminalità. A dircelo è la cruda realtà dei dati. Il 78% di chi esce ci fa rientro. Se fosse un’azienda l’avremmo già chiusa o l’avremmo rivoluzionata. E invece lasciamo che il sistema carcerario rimanga quello che è. E, anzi, peggioriamo di anno in anno.

Eppure possibilità diverse ci sarebbero. Basterebbe avere la volontà di vederle e, soprattutto, non avere il pallino di dover individuare sempre il capro espiatorio, le cloache nelle quali gettare chi sbaglia.

Esiste già oggi la possibilità di far scontare ai detenuti pene alternative. Su circa 53.000 detenuti in tutto il paese ben 2.000 stanno scontando pene inferiori ai 12 mesi. Esiste l’affido, esistono i servizi sociali. Le statistiche dimostrano che si tratta di soluzioni che funzionano meglio della gattabuia: solo il 10% dei detenuti che usufruiscono di pene alternative torna a delinquere. Peccato che una Regione come la Campania non abbia occhi per queste realtà. Figurarsi poi se mette mano alla borsa. Eppure, ci sarebbe anche convenienza economica. Perché se oggi un detenuto in cella costa circa 100/150 euro al giorno, le pene alternative costerebbero circa un terzo. È qui che la pulsione punitiva appare in tutta la sua stupidità.

L’ente Regione avrebbe compiti importanti da portare avanti in tema di carcere. Sua la prerogativa inerente la sanità, anche negli istituti di pena. Esso è spesso il primo problema che i detenuti sottopongono ai parenti, ai Garanti dei Diritti dei Detenuti, nella speranza che non siano solo gli psicofarmaci a entrare tra le mura delle carceri, ma anche medici, attrezzature, medicine. È drammatico sapere che il 21% dei detenuti debba rinunciare alle cure e che il 35% si imbottisca di psicofarmaci.

E per costruire le prospettive future di chi uscirà da quelle celle? A oggi, i progetti di formazione professionale sono troppo limitati. Eppure anche qui c’è la dimostrazione che lo sviluppo di competenze e capacità facilita la costruzione di vite future in cui il carcere rimanga un ricordo del passato e non più l’orizzonte “inevitabile” da cui farsi avvinghiare.

Infine, una riflessione. Il tema della sicurezza si è imposto nel linguaggio della politica, nei nomi stessi delle leggi. Ma è più sicura una società in cui chi delinque e viene sbattuto in carcere torna a commettere reati non appena rimesso in libertà oppure una in cui chi riprende possesso della propria vita la mantiene lontana dai penitenziari? La risposta è ovvia per tutti. Peccato che una miope politica regionale preferisca consegnarci la prima, senza far nulla per avvicinare la seconda.

Giuliano Granato,
Candidato alla Presidenza della Regione Campania per Potere al Popolo!

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