Quando un uomo entra in carcere perde la sua libertà, ma non il diritto di voto. Almeno non automaticamente. Eppure, alle elezioni politiche del 2018, su mille reclusi nelle carceri campane aventi questo diritto circa cento chiesero di poter esprimere la propria preferenza. E mai come ora le prigioni regionali avrebbero bisogno di corsi di educazione civica e di qualcuno che ricordi ai detenuti l’importanza dell’esercizio del diritto di voto. L’Italia, infatti, fa parte di quei Paesi che non negano in modo assoluto la possibilità di votare ai detenuti (come invece succede in Bulgaria e nel Regno Unito), ma nella maggior parte dei casi tale diritto si considera soltanto sospeso e questo avviene solo per alcune categorie di reclusi: per chi è condannato all’ergastolo e per chi deve scontare una pena superiore a cinque anni. Tutti gli altri, quindi, possono votare? La risposta è sì.

L’altra domanda è: lo fanno? No, o meglio, non lo fa quasi nessun detenuto. Alle elezioni europee del 2019 l’affluenza è stata quasi pari allo zero. Hanno chiesto di poter votare due detenuti del carcere di Aversa, uno del carcere di Salerno, sette in quello di Secondigliano. Più o meno i numeri sono gli stessi in tutte le carceri, a eccezione di Benevento, Arienzo e Vallo della Lucania dove non è stata fatta neanche una richiesta. Nel 2016, invece, in Campania parteciparono alle elezioni amministrative solo nove detenuti. Ma per un recluso qual è l’iter da seguire per poter votare? «Il detenuto che desidera esprimere il suo voto – spiega Samuele Ciambriello, garante regionale dei detenuti – deve fare una istanza, considerata valida fino a tre giorni dalle elezioni, al sindaco del suo Comune che, una volta appurato che il richiedente ha diritto al voto, spedisce al carcere il certificato elettorale». A quel punto viene instituito un “seggio speciale” all’interno del carcere.

«C’è una commissione – precisa Ciambriello – che si reca all’interno del penitenziario e raccoglie il voto del detenuto. La procedura funziona benissimo e non mi risultano che ci siano problemi. Chi vuole votare, può farlo tranquillamente». Ma se l’iter burocratico funziona, perché i detenuti non votano? Come per tutte le questioni la ragione non è mai solo una, soprattutto se parliamo della popolazione detenuta che forma un mondo, purtroppo, distante anni luce dalla popolazione libera. «Il disinteresse dei detenuti riflette quello della società che vive al di là delle sbarre – spiega Antonio Fullone, dirigente generale dell’amministrazione penitenziaria campana – Negli anni abbiamo visto una disaffezione crescente nei confronti della politica e un disinteresse verso il voto da parte di chi vive fuori e dentro le prigioni». Si potrebbe pensare che il disinteresse verso ciò che succede al di fuori delle celle sia spesso dovuto a un deficit di informazione, ma Fullone non sembra essere convinto di questa ipotesi. «I detenuti hanno accesso ai canali di informazione e sanno cosa succede all’esterno – dice il provveditore – quindi non credo che il problema sia la mancata ricezione di notizie».

Per il dirigente i motivi sono principalmente due: la mancanza di una cultura civica e il fatto che il loro sguardo sia rivolto verso ciò che accade all’interno, perdendo di vista l’esterno. «Senza voler generalizzare o etichettare – precisa Fullone – tanti detenuti sono dentro perché hanno una scarsa dimestichezza con diritti e doveri civici, ci sono corsi di educazione civica ma andrebbero irrobustiti e diffusi maggiormente perché ciò che manca è una cultura e una tradizione civica. Il disinteresse verso la politica è il risultato di questa condizione, unito al fatto che le priorità in carcere diventano altre, per questo bisogna stimolare la loro attenzione verso questi temi, perché vuol dire rispettare il compito del carcere che è quello di rieducare e reinserire, non di emarginare». Per Samuele Ciambriello, invece, si tratta anche di una mancata opera di sensibilizzazione.

«Nessuno si occupa di spiegare l’importanza del voto ai detenuti – fa sapere Ciambriello – Anche la politica si disinteressa completamente di loro, facendoli sentire ancor di più ai margini della società. E questo, chiaramente, porta i detenuti a sentirsi estranei a quei processi che riguardano la comunità».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.