Ucciso dal proprio compagno di cella, paziente psichiatrico. E’ quanto accaduto nel carcere di Velletri dove nelle scorse ore, al culmine di una lite, un detenuto affetto da tempo da problemi mentali ha ammazzato il compagno di cella. “Una morte annunciata” dichiarano ora i sindacati di polizia penitenziaria e non solo. L’uomo protagonista dell’omicidio andava seguito, curato altrove e non in un carcere dove sempre più spesso mancano figure di riferimento come psichiatri, psicologi ed educatori. Già nel recente passato si sarebbe reso protagonista di episodi di violenza.
La tragedia è avvenuta nella giornata di ieri, lunedì 19 giugno. Il Sappe parla di una “situazione penitenziaria sempre più critica ed allarmante”. “Ieri al culmine di una lite tra due detenuti, uno ha ucciso l’altro poco prima del pur immeditato intervento dei poliziotti – dice in una nota Maurizio Somma, segretario nazionale per il Lazio del Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria – Non sono note le ragioni di questo gesto, ma la situazione è allarmante. Al momento si sa solo che i due convivevano la stessa cella, che l’omicida aveva problemi psichiatrici e nel recente passato aggredito anche un poliziotto penitenziario”.
Dura la denuncia di Gabriella Stramaccioni, già Garante dei diritti delle persone private della libertà personale di Roma Capitale: “Un ragazzo ha ucciso un suo compagno di cella in carcere a Velletri. Ho avuto modo di conoscerlo già quando era detenuto a Regina Coeli. Gravi problemi psichiatrici. Allora era in attesa di Rems. Ho fatto allora diverse segnalazioni. Ha continuato a fare il giro delle carceri della Regione, senza mai essere preso in cura totalmente per curare le sue gravi patologie“. Poi conclude polemica: “Il carcere non è il luogo dove tenere rinchiuse persone con queste gravi patologie. Rafforzare il sistema di salute mentale (Rems o strutture di cura adeguate). Rafforzare il monitoraggio di queste situazioni: la presenza di un garante territoriale è fondamentale. Assurdo che l’attuale amministrazione di Roma Metropolitana ne abbia annullata la nomina”.
Donato Capece, segretario generale del Sappe, sottolinea che “quanto accaduto deve far riflettere per individuare soluzioni a breve ed evitare che la polizia penitenziaria sia continuo bersaglio di situazioni di grave stress durante l’espletamento del proprio servizio. Il disagio mentale, dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, è stato riversato nelle carceri, dove non ci sono persone preparate per gestire queste problematiche, mancano strutture adeguate e protocolli operativi. La polizia penitenziaria non ce la fa più a gestire questa situazione e nei prossimi giorni valuterà se indire lo stato di agitazione. L’effetto che produce la presenza di soggetti psichiatrici è causa di una serie di eventi critici che inficiano la sicurezza dell’istituto oltre all’incolumità del poliziotto penitenziario. Queste sono anche le conseguenze di una politica miope ed improvvisata, che ha chiuso gli ospedali psichiatrici giudiziari senza trovare una valida soluzione su dove mettere chi li affollava. Gli ospedali psichiatrici giudiziari devono riaprire, meglio strutturati e meglio organizzati, ma devono di nuovo essere operativi per contenere questa fascia particolare di detenuti”, prosegue Capece, secondo il quale, “da quando sono stati chiusi gli ospedali psichiatrici giudiziari, le carceri si sono riempite di detenuti affetti da gravi problemi psichiatrici. Ormai in ogni carcere decine e decine di detenuti con gravi problemi psichiatrici vengono ospitati normalmente nelle sezioni detentive, e spesso sono ubicati nelle celle con altri detenuti che non hanno le stesse difficoltà. Di conseguenza, i poliziotti penitenziari, oltre a essere costretti a gestire la sicurezza delle carceri in grave carenza di organico, come avviene nel Lazio, devono affrontare da soli questi squilibrati senza alcuna preparazione e senza alcun aiuto. Non è corretto soltanto ammettere l’esistenza della questione dei detenuti con problemi psichiatrici e poi far solo finta di aver risolto un problema che invece sta esplodendo sempre di più nella sua drammaticità”. Il Sappe evidenzia infine come questi detenuti sono responsabili di “vero e proprio vandalismo all’interno delle celle, dove vengono disintegrati arredi e sanitari, ponendoli nella condizione pure di armarsi con quanto gli capita per le mani e sfidare i poliziotti di vigilanza”.
