Riformista Cartaceo
Dimissioni in bianco e minacce, nei guai nota azienda dolciaria napoletana
Una brutta storia, che se confermata, si rivelerebbe tanto squallida quanto drammatica: quella che vede protagonista, una nota impresa dolciaria nel napoletano che obbligava i propri dipendenti a firmare dimissioni in bianco da poter poi sfruttare al momento opportuno per non perdere vari incentivi fiscali. In questi giorni per via di un meme che ha girato molto sul web, è tornata in auge la triste storia che riguarda molti giovani e non solo, sempre più sfruttati o messi in condizioni di lavoro a dir poco precario da imprenditori senza scrupoli. Nel meme in questione una ragazza rifiutava un lavoro che le era stato proposto perché l’avrebbe portata a impegnarsi per oltre 64 ore settimanali e guadagnare 0,71 centesimi di euro all’ora. Alle lamentele della ragazza lo pseudo datore di lavoro rispondeva piccato, accusandola di non volersi impegnare. Ma a quel punto arriva la frase divenuta virale: «Voglia di lavorare la tengo, e quella di fare la schiava che mi manca».
Queste storie, che possono anche far sorridere se viste da lontano, sono però ben presenti e radicate nel nostro Paese. Spesso però fanno parte del sottobosco, vista la compressibile reticenza dei lavorati di entrare in contrasto con imprenditori affermati e “potenti”. Nel caso di cui parlavamo a inizio articolo però no. Qualcuno ha avuto il coraggio di ribellarsi e di dire: «Io non ci sto». E adesso, dopo anni di battaglie legali, iniziate nel 2016, pare che la vicenda stia finalmente volgendo al capolinea.
Gli antefatti – Come sempre a lasciare basiti sono i lunghi tempi della giustizia italiana: Il tutto risalirebbe al gennaio 2015, quando una nota pasticceria del Napoletano, avrebbe chiesto a molti dei suoi giovani dipendenti di presentare delle “dimissioni in bianco”, una pratica scorretta con cui si intende il far firmare al lavoratore o alla lavoratrice le proprie dimissioni in anticipo, per poi compilarle riempiendo il foglio con la data desiderata a fronte di una malattia, un infortunio, un comportamento sgradito, o anche una gravidanza. Una praticata come detto a dir poco scorretta, e che è infatti stata contrasta dal nostro legislatore con un disciplina ad hoc in un ddl del 2012. In alcuni casi però sembra che la richiesta sia sfociata anche in velate minacce. Questo è il caso specifico della persona che ha deciso di muove causa contro la pasticceria.
Il fatto – Consapevole di quello a cui sarebbe andato in contro, visto che la pratica iniziava già a essere diffusa nei metodi dell’azienda e chiacchierata dallo stesso personale, il dipendente, che da tempo lavorava con mansioni di responsabilità all’interno dell’azienda, ha avuto la scaltrezza di presentarsi all’incontro richiesto dal datore di lavoro ‘armata‘ di telefono, in modo da registrare il confronto. Da queste registrazioni, parrebbero emergere chiaramente oltre che le richieste, anche i modi e toni decisamente aspri con cui queste vengono fatte, specialmente dopo che il lavoratore si sarebbe rifiutato in un primo momento di firmare. Inoltre ad entrare in gioco sono anche gli altri soci della società che, tutti insieme, chiedono fortemente la firma. Il tutto in un piccolo e angusto ufficio. Siamo nel gennaio del 2015, e il licenziamento viene comunque effettuato nel luglio dello stesso anno.
Il processo – Il lavoratore non ci sta, e insieme ad altri ex impiegati decide di muovere causa al tribunale di Torre Annunziata; non sceglie una certamente più remunerativa causa del lavoro, ma una più difficile e sicuramente aspra battaglia: una causa penale. Siamo nel 2016. Da qui però parte il gioco del gatto con il topo. Ben cinque udienze in cui il giudice, acquisiti e accertati i fatti e le testimonianze, si vede però più volte costretto a rimandare la discussione della sentenza poiché da parte degli accusati arrivano le più disparate richieste per lo spostamento: certificati medici, astensioni degli avvocati (ben cinque) oppure nuove perizie sulla registrazione che ha permesso di dar via al processo, a cui però il perito tarda di dar seguito. Insomma un calvario senza fine. Adesso l’ultima data, quella che dovrebbe essere il punto finale d’arrivo per l’emissione della sentenza, è il 14 luglio: la pasticceria è accusata di violenza privata aggravata dal concorso di persone, un reato che può essere punito fino a 4 anni di reclusione, e con le aggravanti arrivare fino a 6.
La speranza – Dopo anni di lotta sembra finalmente essere a un passo almeno la prima vera e importante fase del procedimento. Nonostante lo sconforto dovuto ai lunghi tempi e al timore che la potenza della nota pasticceria, che vanta qualche decina di punti vendita su tutta la provincia napoletana, possa in qualche modo pesare su una condanna non troppo severa, l’ottimismo la fa da padrona: finalmente si inizia a intravedere la fine di questo lungo tunnel.
Ha collaborato Gianluca Iavarone
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