Il diritto allo studio dovrebbe essere la pietra miliare sulla quale fondare una società. Non è così nel nostro Paese dove l’istruzione fa acqua da tutte le parti, non è così al Sud e ovviamente non è così nella nostra città dove Palazzo San Giacomo spende pochissimo per garantire un’istruzione adeguata a tutti i giovani del territorio. Si badi bene i dati si riferiscono a quando alla guida del Comune di Napoli c’era la precedente amministrazione, quella di Luigi de Magistris.
Ma è bene riportare i dati analizzati e pubblicati da Openpolis (fanno riferimento al 2020) per poterli poi confrontare con quelli della nuova amministrazione guidata oggi dal sindaco Gaetano Manfredi. E allora, quanto spende il Comune di Napoli per il diritto allo studio? 77,20 euro pro capite. Poco se pensiamo che la città di Verona, che domina la classifica, per la stessa voce di spesa ne spende 184,35. Solo Bari, Palermo e Messina fanno peggio di Napoli. Il capoluogo siciliano, infatti, chiude la classifica con appena 28,04 euro pro capite dedicati allo studio. Ora, anche se la scuola è materia di competenza nazionale, i Comuni posso svolgere interventi di manutenzione locale ed elargire borse di studio. La formazione scolastica, infatti, è inclusa all’interno di un’intera missione di spesa presente nei bilanci comunali.
Nelle varie voci al suo interno, sono inseriti i diversi gradi di istruzione, dalla scuola dell’infanzia fino all’università. Sono compresi inoltre i servizi ausiliari (come ad esempio il trasporto, le mense e gli alloggi) e gli interventi per il diritto allo studio come i buoni libro e le borse di studio. I comuni possono intervenire per la manutenzione e la gestione delle strutture per quel che riguarda la loro competenza. Inoltre, hanno un ruolo anche nella formazione del personale. Considerando le grandi città, poi, è bene notare che quelle che spendono di più sono tutte al nord: Verona (184,35 euro pro capite), Milano (173,24) e Trieste (172,38). In fondo alla classifica, i capoluoghi del sud: Napoli (77,20 euro pro capite), Bari (69,48), Palermo (52,57) e Messina (28,04).
Non sorprendiamoci poi se chi frequenta le scuole del Nord ha una formazione più adeguata all’inserimento nel mondo del lavoro e se noi del Sud risultiamo sempre essere i meno provvisti di una cultura scolastica adeguata. Ma per favorire la crescita personale dei ragazzi e il progresso della comunità, è necessario impostare delle politiche lungimiranti per l’accesso e il completamento dei percorsi di studi. La riduzione dell’abbandono scolastico è un obiettivo che era stato inserito anche nell’agenda Europa 2020. Anche grazie agli obiettivi europei fissati nell’ambito dell’agenda Europa 2020, la quota di giovani italiani che hanno lasciato la scuola prima del tempo è calata dal 17,8% registrato nel 2011 a circa il 13% attuale.
Un valore che risulta però ancora elevato rispetto a quelli di altri stati membri. Non nella nostra Regione. La Campania è la seconda regione in Italia per numero di ragazzi che hanno lasciato precocemente la scuola (18,1% contro il tasso nazionale del 13,8%) e ha una percentuale del 27,5% di minori in povertà relativa (contro il 22,3% della media nazionale). Se prima non investiamo, come speriamo di cambiare questi numeri da bollino nero?
