«Su le mani!», urlava. E tutti, davanti a lui, a ballare. Erano anni spensierati, quelli in cui Dj Fofò ammaliava i suoi fans, accalcati sulla pista della discoteca Extasy, nella sua Mazara del Vallo. Pochi anni dopo sarà lui stesso a scendere in pista, vincendo quel Gratta e Vinci della vita che per molti è stato il M5S e diventando addirittura Ministro della Giustizia nel primo e nel secondo governo Conte. Dj Fofò, all’anagrafe Bonafede Alfonso, non grida più «Su le mani». O almeno non in discoteca. Adesso si è appassionato di manette.
E ha sposato il mantra di Travaglio e Davigo, provocando la più lunga e clamorosa ondata di proteste forensi che la storia giuridica italiana ricordi. Se Italia Viva e il Pd hanno iniziato a concertare una linea, chiedendo al Presidente del Consiglio di mediare, è segno che i nodi stanno arrivando al pettine. E sono nodi togati. Il ministero di via Arenula non è riuscito a fornire i dati richiesti a gran voce, per vie ufficiali, dall’avvocatura italiana: nessuno sa dire su quali e quanti reati, su quali e quanti procedimenti la riforma Bonafede potrà avere effetto.
L’esperienza di animatore notturno deve avergli conferito sicurezza nell’agire al buio: ieri ha rivelato di avere pronto anche l’intero pacchetto di riforma complessiva del processo penale. «La prescrizione andrà avanti ed entro dieci giorni sul tavolo del Consiglio dei ministri arriverà il testo di riforma del processo penale», ha detto Bonafede tutto d’un fiato. Quanto a Italia Viva, che non esclude di votare insieme al centrodestra la proposta che abroga la riforma Bonafede, il ministro replica: «C’è chi si comporta come se fosse all’opposizione. A volte ho il dubbio che i testi glieli scriva Salvini o Berlusconi. Lavorare vuol dire sedersi a un tavolo e scrivere le norme, non vuol dire urlare dalla mattina alla sera, abusando della pazienza dei cittadini, sfiorando spesso il tono della minaccia. Lo voglio chiarire: qualcuno si dovrebbe rendere conto del fatto che siamo in maggioranza. Invece, vedo toni che mi sembrano di chi è all’opposizione».
Il Pd non abbandona la speranza di un rinvio. «Se si fa siamo i più contenti del mondo, perché un rinvio ci darebbe modo di affrontare con più calma la riforma del processo penale», sottolinea il vicesegretario Andrea Orlando. Sul fronte opposto, infine, la presidente dei senatori di Forza Italia Anna Maria Bernini parte dal tema della giustizia per lanciare l’ennesimo attacco all’esecutivo: «sulla prescrizione qualsiasi compromesso, si tratti di un rinvio o dello spostamento della riforma al grado di appello, porterà qualcuno a perdere comunque la faccia», osserva. Ma la fretta di Bonafede non convince. Il Guardasigilli che tira dritto senza ascoltare i giuristi mette a nudo la velleità di un metodo più orientato all’effetto che alla effettività.
Ieri la Giunta delle Camere penali ha parlato di «Un tempo livido di populismo penale borioso e violento», confermando l’impegno a lottare «contro la sciagurata riformetta Bonafede». Toni inusitati ed eloquenti. Chi ha frequentato i corridoi di via Arenula ricorda quando l’allora ministro Andrea Orlando (al dicastero con Renzi prima e con Gentiloni poi) andava a portare il suo saluto al Consiglio nazionale forense, riunito nella sua aula al piano terra: era interrotto da lunghi applausi.
Ma quello che Luigi Bisignani additava come “il capo di una potente lobby interna” non sarebbe poi così gradito ai suoi. È stato indicato come Capo delegazione dei Cinque Stelle, è vero. Ma i maligni sussurrano sia stato voluto più dagli uffici di Palazzo Chigi che dai suoi. La liaison è nota, Bonafede era stato “assistente gratuito” del Professor Giuseppe Conte all’Università di Firenze. E d’altronde ieri, a margine dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario presso il Consiglio di Stato, il capo delegazione del Pd, Dario Franceschini, ha preso da parte Vito Crimi, reggente del Movimento, ed è con lui che si è fermato a colloquio per alcuni minuti. «Una fitta conversazione», riferisce Alexander Jakhnagiev, Agenzia Vista.
La sensazione che ha chiunque osservi da vicino le vicende dei Cinque Stelle, è che in quel partito sia avviato il redde rationem. Un sondaggio di Nicola Piepoli oggi stima il M5S al 14%: spogliati dunque del sessanta per cento del consenso elettorale. Di più: se Gianluigi Paragone e Alessandro Di Battista presentassero un loro Movimento, una Sesta stella sovranista, strapperebbero subito il 5% dei voti. Di Battista però al momento è in Iran, da dove ieri ha rassicurato i suoi, che lo invocavano preoccupati: «Ho quasi finito, torno». Manca poco più di un mese agli Stati generali e sembra che Bonafede voglia arrivarci come candidato alla successione di Di Maio. Prescrizione abolita, nuovo processo penale: va bene tutto purché sia fatto in fretta e ben comunicabile sui social.
«Prova a fare Mandrake», celia il deputato azzurro Francesco Paolo Sisto. «La maggioranza sta giocando a rimpiattino: si discute solo per garantire la sopravvivenza del governo. In tutto questo, Bonafede prova a fare “Mandrake” annunciando a giorni la riforma del processo penale: illusione preoccupante e non poco, visto il ridicolo in cui ormai versa il Ministero della Giustizia». Sarebbe stato proprio Bonafede a convincere il Movimento ad annunciare di scendere in piazza sabato 15 febbraio, per un “ritorno alle origini”. Chissà se prenderà il microfono per incitare tutti a ballare.
