Esteri
Donald Trump è sull’orlo di una crisi di nervi
Sono giorni difficili per la destra USA. Il malessere viene dritto dritto dalla pancia del movimento MAGA e ha radici profonde che scavano da lungo tempo. Che la misura fosse colma lo si è capito con l’intervista al capo di gabinetto di Trump, Susie Wiles, pubblicata sull’ultimo numero di Vanity Fair. È tutto il “cerchio magico” che guida e influenza le scelte della Casa Bianca a uscirne con le ossa rotte. L’accusa al presidente è di quelle che non si dimenticano: Wiles lo dipinge come un «alcolizzato sobrio” perché, benché notoriamente astemio, esprimerebbe una «personalità alcolica» per le reazioni a volte esagerate che ricordano il comportamento di chi soffre di dipendenze.
Nel mirino finisce anche il vicepresidente JD Vance, descritto come un vero voltafaccia, un opportunista che è stato cospirazionista per una vita e poi si è convertito sulla via del trumpismo quando ha puntato a un seggio al Senato. Oggi, con l’ascesa alla seconda carica dello Stato avrebbe completato la sua metamorfosi ed è diventato addirittura l’anima oscura della Casa Bianca. E poi via di bordate a Pam Bondi, la ministra della Giustizia, per la sua gestione “totalmente sballata” del caso Epstein. Memorabile, a dire il vero, la gaffe dei mesi scorsi sulla lista con l’elenco dei clienti del miliardario pedofilo comparsa “per magia” sulla sua scrivania quando, in realtà, non era mai esistita. L’intervista è un ritratto impietoso dell’Amministrazione che non risparmia neppure Russell Vought, direttore del Bilancio e uomo-chiave nell’attuazione dei programmi, definito uno «zelota assoluto» e un ottuso uomo di estrema destra.
In questo redde rationem poteva mancare Elon Musk? Ecco che il “genio” di Tesla impersona un’«anatra strana», una personalità multipolare che si aggrava quando l’uso di ketamina accentua le iperboli delle sue uscite pubbliche. Ma fino a qui siamo nel folklore. È probabile che a poco serviranno le sonore smentite dell’intervistata che ha accusato la rivista di aver manipolato le sue parole. Il danno è fatto, i buoi sono scappati e non torneranno. In realtà il problema è molto più serio e rivela una profonda frattura all’interno del mondo MAGA e una forte insofferenza della base più radicale che è esplosa proprio a seguito dell’oscura vicenda Epstein che ha gettato molte ombre sulla moralità e sulla sincerità del presidente. Due punti rispetto ai quali, si sa, gli americani sono sempre particolarmente sensibili. Si ricordi il caso Clinton Lewinsky che aveva fatto tremare l’allora inquilino della Casa Bianca. Ma c’è di più.
È bastata l’uscita dell’ultimo libro del “profeta” Charlie Kirk, dedicato allo Shabbat, per far riemergere una spaccatura profonda tra due anime dei repubblicani che sembrano ormai inconciliabili. Da un lato i tradizionalisti, legati agli antichi valori conservatori, come era Kirk, oppure come Mark Levin, Ben Shapiro, Tom Cotton e Ted Cruz. Dall’altro gli estremisti in stile Fuentes o Bannon con le loro malcelate simpatie neonaziste. Al momento se ne stanno tutti in pace armata perché il collante del potere ha sempre una certa presa. Ma è sul piano dell’economia che si consumerà un’altra frattura. Il mal di pancia che attraversa l’elettorato MAGA sugli scarsi risultati delle misure trumpiane è forte. E a poco o nulla serviranno eventuali traguardi in politica estera. Come si dice, carta canta e se i salari languono saranno lacrime anche per il presidente. Più amare di qualche intervista patinata.
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