Il caso
Dopo due anni di tritacarne scagionato completamente: “Così mi hanno rovinato vita e carriera”
In questi due anni ha subìto gli arresti domiciliari prima, la misura interdittiva poi, senza dimenticare le accuse, i sospetti e i titoloni sui giornali. Un incubo a cui ora pone fine l’archiviazione disposta dal gip Fabrizio Ciccone del Tribunale di Avellino su richiesta della Procura. «Non sono emersi elementi idonei per un utile esercizio penale nei confronti degli indagati in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti», scrive il giudice, sottolineando che «la richiesta di archiviazione appare interamente meritevole di accoglimento». L’Organizzazione e la Confederazione sindacale dell’Usb avevano presentato opposizione, ma il caso è chiuso: per gip e pm le indagini non hanno confermato le iniziali ipotesi accusatorie.
Per Renato Pingue, capo dell’Ispettorato interregionale del lavoro di Napoli e indagato assieme ad altre sei persone tra funzionari pubblici e imprenditori, è la decisione che restituisce dignità e spazza via ogni ombra sul suo operato negli anni in cui era direttore provinciale facente funzioni della sede di Avellino. Difeso dagli avvocati Giuseppe Fusco e Ettore Freda, Pingue ha sempre respinto le accuse e l’archiviazione dell’inchiesta certifica questa sua tesi. «Tuttavia non riesco a gioirne – confida – La mia è stata una vicenda assurda, dolorosa e incomprensibile che ha colpito non solo me ma tutta la mia famiglia in un modo che ci ha resi quasi increduli di come possano capitare certe cose».
Pingue, con quarant’anni di onorata carriera alle spalle e la possibilità di ambire alla direzione centrale sfumata a causa della vicenda giudiziaria pendente in questi anni, era accusato di aver commesso un atto contrario ai doveri di ufficio per favorire un imprenditore e ottenere da questi l’assunzione del figlio ingegnere. L’imprenditore in questione è a capo di una società per azioni che opera nel settore della logistica e dei servizi e che alcuni anni fa era coinvolta in una vertenza sindacale mossa da un centinaio di lavoratori e partecipava assieme ad un’altra ditta a un appalto su cui, in quello stesso periodo, gli investigatori stavano indagando per un sospetto caso di corruzione.
Proprio su delega della Procura, l’Ispettorato del lavoro aveva avuto il compito di eseguire controlli sulla regolarità del rapporto tra le due società e le cooperative in cui operavano i lavoratori.
«Agivamo come ufficiali di polizia giudiziaria, dovevamo riferire al magistrato e non potevamo dire ad altri cosa avevamo accertato», spiega Pingue, motivando quindi la scelta di modificare il testo delle lettere informative indirizzate ai lavoratori omettendo i riferimenti all’aspetto penale. Secondo l’iniziale ipotesi accusatoria, però, proprio quelle omissioni avrebbero portato al reato contestato a Pingue e avrebbero impedito ai lavoratori di conoscere informazioni utili per la tutela dei loro diritti su spettanze e contributi non percepiti. Ma, come sottolineato dal gip nel provvedimento di archiviazione, quelle lettere sono «atti neutri», la cui funzione «è quella di semplice informazione», per cui, premettendo anche che erano una prassi non obbligatoria per gli uffici territoriali, la conclusione del gip è che quelle modifiche «non hanno di fatto privato il lavoratore delle sue tutele giurisdizionali». Il direttore dell’Ispettorato lo aveva spiegato sin dal giorno del suo arresto e, durante le 4 ore e mezza di interrogatorio che seguirono la notifica del provvedimento di arresti domiciliari, aveva ricostruito in ogni dettaglio i fatti.
Era novembre 2018. All’esito di quell’interrogatorio il gip tornò sui suoi passi, scarcerò Pingue e sostituì gli arresti con la misura interdittiva della sospensione dai pubblici uffici per nove mesi. La misura fu poi annullata dal Riesame che sostenne la mancanza dei gravi indizi, condividendo appieno la tesi della difesa. E la Cassazione confermò, ritenendo inammissibile il ricorso del pm. La versione del direttore, dunque, aveva retto sin dall’inizio, eppure le indagini si sono protratte per altro tempo ancora, fino all’archiviazione di due giorni fa. «Questa vicenda – conclude Pingue – mi ha segnato profondamente ma continuo a essere un servitore dello Stato perché voglio dimostrare ai miei figli che la magistratura può anche commettere qualche errore ma noi non dobbiamo mai smettere di credere nella giustizia».
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