Politiche commerciali
Il giorno dei Dazi: auto, pharma e agroalimentare. Elkann incontra Trump: suo nonno non avrebbe fatto lo stesso

Oggi per l’Europa è un nuovo D-day. Purtroppo non come quello del 1944. Il “Dazi day”, il “Giorno della liberazione”, come l’ha chiamato Trump, per annunciare le tariffe doganali sulle importazioni negli Stati Uniti, rischia di far entrare l’economia globale in una spirale di speculazioni e ritorsioni. Se tutto va come previsto – ma con Trump meglio non giurarci – è la volta dei prodotti al consumo finale. Dopo acciaio e alluminio, saranno tassati auto, pharma e agroalimentare. La conferma della tensione che si respira in Europa giunge con le parole di Ursula von der Leyen, ieri intervenuta alla plenaria del parlamento UE a Strasburgo. «Siamo pronti a vendicarci». L’Europa cerca anche lei di far paura: «Le fabbriche americane pagheranno di più per i componenti prodotti in Europa. I dazi costeranno in posti di lavoro e creeranno un mostro burocratico di nuove procedure doganali. Sarà un incubo per tutti gli importatori statunitensi». Non si ha memoria di un precedente in cui la Presidente della Commissione UE sia ricorsa a un linguaggio tanto conflittuale. Perlomeno non nei riguardi di quello che, di fatto, resta il nostro primo partner commerciale-industriale, nonché principale alleato strategico. Tuttavia, von der Leyen ha lasciato intendere che c’è anche un piano B. «Il nostro obiettivo è una soluzione negoziata», ha detto.
Attesa una mossa da von der Leyen
Resta però da capire se alla voce finalmente grossa di von der Leyen seguiranno i fatti. E di che genere. Vendetta e negoziazione hanno entrambi delle debolezze. Con la prima si rischia di cadere nella trappola di Trump e per un giocatore d’azzardo come lui, il caos è ottimale. Inoltre, seguire la linea rapsodica e all’apparenza improvvisata del Tycoon è inverosimile per un’organizzazione iper complessa com’è l’Unione europea. Ieri stesso, mentre il Presidente faceva il poliziotto buono e prometteva indulgenza verso quei Paesi che dovessero allinearsi alle sue volontà, c’era la sua portavoce, Karoline Leavitt, che giocava al poliziotto cattivo. «Ci hanno derubato per troppo tempo, adesso capiranno quanto abbiamo sofferto», minacciava, promettendo che i dazi saranno «efficaci immediatamente». È questa la reciprocità che intendono gli Usa. Dazio per dazio! E se l’Europa dovesse scegliere la strada della vendetta sarebbe lo stesso. Con implicazioni sull’inflazione, sulla fornitura di materie prime, di cui l’Europa è ben più povera degli Usa e sulla stabilità monetaria.
Il commercio in equilibrio
L’alternativa è quella dei negoziati, che devono essere portati avanti dal vecchio continente. «Dobbiamo reagire come Europa», dice Roberto Vavassori, Presidente di Anfia, l’associazione che del sistema Confindustria che raggruppa le imprese della filiera dell’automotive. Un settore che, a livello europeo, esporta negli Usa veicoli per circa 200 miliardi di euro l’anno. «E sono contento che i partiti italiani e le istituzioni in Ue ne siano consapevoli». E visto che gli Usa puntano sul nostro manifatturiero, per sostituirlo con uno domestico, l’Europa dovrebbe fare altrettanto nell’ambito delle soluzioni tecnologiche. L’Ue infatti è esportatore netto di automobili, prodotti farmaceutici e alimenti verso gli Stati Uniti, ma importatore di servizi. Il commercio transatlantico, così, è sostanzialmente in equilibrio, con un surplus complessivo per l’Ue di appena 50 miliardi di dollari, circa il 3% dei 1.700 miliardi di dollari di scambi annuali. «Il cloud europeo per l’85% è fondato su tre hyperscaler americani». Commenta Vavassori. «Ci serve un progetto strategico che, da qui a quattro anni, ci permetta di diventare indipendenti dal punto di vista digitale». Però anche questo è un terreno scosceso. Una cosa è prendersela con l’Harley Davidson e il bourbon – contro i quali Bruxelles ha già imposto delle tariffe doganali – un’altra è sparare ad alzo zero contro Google, Amazon, X di Musk. «È il piano Draghi che ci indica la rotta. Al 10% di risorse garantite dalle istituzioni Ue, deve corrispondere la disponibilità dei capitali privati svincolati dagli investitori o che riposano nei conti correnti dei cittadini».
Bruxelles riparte dalle politiche commerciali
D’altra parte, se è vero che le politiche commerciali Ue sono un asset della sua politica estera, torna utile per Bruxelles partire proprio da quest’ultima. «Il sogno europeo dei nostri 500 milioni di cittadini e dei 370 milioni americani dovrebbe prevedere di rimettere mano al trattato transatlantico, coinvolgere il Giappone e l’Australia, per creare una forza occidentale dai valori formidabili, una zona di libero scambio vero e con gli stessi costi di produzione». Ma la questione è «competenza della Commissione Ue», come ha detto il Ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, rimarcando la necessità di evitare un’escalation alla todos caballeros. «È come se la Basilicata decidesse di fare una sua politica estera». Per questo stride l’incontro di John Elkann con Trump proprio ieri. È vero che Stellantis non solo vende, ma anche produce negli Usa. E che la transizione green della filiera è un dossier delicato in questa fase. Ci piace pensare però che suo nonno, con in gioco gli interessi nazionali, si sarebbe comportato altrimenti.
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